Il Tar ha accolto le nostre tesi a difesa di un ente locale avverso il ricorso di un imprenditore che ha impugnato il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo dell'11.03.2020 recante la “Dichiarazione di Notevole Interesse pubblico dell'area sita nei Comuni di Marino, Castel Gandolfo e Albano Laziale, denominata «LaCampagna romana tra la via Nettunense e l'Agro romano (tenuta storica di Palaverta, Quarti di S. Fumia, Casette, S. Maria in Fornarolo e Laghetto)»” pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 88 del 02.04.2020 unitamente a tutti i relativi allegati e, in particolare, al suo allegato n. 16 recante “Relazione istruttoria: osservazioni e controdeduzioni” alle osservazioni presentate avverso la “Proposta di dichiarazione di Notevole Interesse pubblico dell'area sita nei Comuni di Marino, Castel Gandolfo e Albano Laziale, denominata «La Campagna romana tra la via Nettunense e l'Agro romano (tenuta storica di Palaverta, Quarti di S. Fumia, Casette, S. Maria in Fornarolo e Laghetto)».

Leggasi testualmente nella sentenza del Tar: "Resta, invece, da decidere nel merito il ricorso recante motivi aggiunti, indirizzati contro il vincolo paesaggistico. È bene premettere, a tale proposito, che l’esame delle censure non può che conformarsi a quanto già deciso dalla Sezione, in punto di diritto, quanto ad una recente impugnativa del medesimo atto da parte del Comune di Castel Gandolfo, il cui ricorso è stato rigettato dalla sentenza n. 3238 del 2021. Parimenti, punto ineludibile di raffronto è anche, e anzitutto, la sentenza n. 276 del 2020 della Corte costituzionale, con la quale sono state dichiarate non fondate plurime questioni, in parte affini a quelle dedotte nella presente causa, sollevate da questo Tribunale nell’ambito di una controversia analoga, per larghi aspetti, all’attuale, e concernente l’inclusione dei fondi delle odierne parti ricorrenti (tra altri) nel parco dell’Appia antica. Come subito si vedrà, tali pronunce valgono a porre in luce la infondatezza della maggior parte dei motivi aggiunti. 4. Con il primo di questi ultimi (eccesso di potere per difetto di istruttoria, errore e falsità dei presupposti, contraddittorietà e sviamento), le ricorrenti contestano la legittimità del vincolo, osservando che esso cade su un’area largamente degradata, a forte urbanizzazione, nonché segnata dalla compromissione dell’originaria identità degli edifici rurali. La sentenza n. 3238/21, richiamando altra giurisprudenza conforme, ha già ritenuto, in senso contrario, che il tratto nel quale si esprime con maggiore nettezza la discrezionalità amministrativa sottesa al vincolo, e che va esente da vizi logici, consiste nella dichiarata volontà di ricucire in un unico tessuto un'area, storicamente a vocazione agricola, che, prima dell'atto oggi impugnato, era invece consegnata ad una tutela a macchia di leopardo, poiché inframmezzata dal territorio, al quale si è infine estesa la finalità conservatrice. Fin dalle premesse della relazione allegata al DM impugnato, infatti, si dà conto che "l'area oggetto del presente provvedimento di tutela è (,,,) interclusa fra svariati ambiti già oggetto di diversi provvedimenti di tutela", sicché il vincolo vale anche ad assicurare la continuità di quest'ultima. Del resto, è intuitivo che le aree di notevole interesse pubblico immediatamente contigue al territorio oggi tutelato possano subire un pregiudizio, anche di carattere estetico-visuale, a causa della compromissione ambientale di zone limitrofe, che alle prime possono invece essere accomunate, anche per garantirne una piena fruibilità fisica e visiva. L'eventuale interruzione, per segmenti frazionati e interclusi, dei tratti più tipici della campagna tutelata, in altri termini, non preclude il recupero di una visuale unitaria del complesso di cose avente, nell'insieme, valore estetico e tradizionale (art. 136, comma 1, lett. c del d.lgs. n. 42 del 2004), o costituenti punti di vista, dai quali godere delle bellezze panoramiche (art. 136, comma 1, lett. d seguente). Con specifico riferimento ai lotti delle ricorrenti, che sarebbero caratterizzati a parere di queste ultime, da “frammentarietà edilizia”, resta incontestata la deduzione svolta in replica alle osservazioni depositate nel corso del procedimento (cfr “risposta del MIBACT, pag. 21), secondo la quale essa si connota per la “ampiezza dei quadri panoramici”, oltre che la ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico. Perciò, nel quadro più generale entro cui si inserisce la apposizione del vincolo, appare qui particolarmente forte la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 136, comma 1, lett. d) del d.lgs. n. 42 del 2004. Né, come si vedrà meglio in seguito, la circostanza che l’area sia oggetto di un programma integrato di intervento (cd. PRINT Eco Village) adottato nel 2011 e approvato nel 2013 incide, in sé, sulla qualità paesaggistica dell’area, che l’amministrazione ha apprezzato positivamente, senza eccedere dalla propria sfera di discrezionalità. La censura è perciò infondata. Sul punto, la sentenza n. 3238/21 ha già osservato che il codice dei beni culturali, nel testo introdotto dal d.lgs. n. 63 del 2008, ha attribuito al MIBACT un potere dichiarativo che concorre con quello della Regione, ed è altresì destinato ad imporsi sulla pianificazione paesaggistica, che è tenuta a recepire la dichiarazione nel corpo del PTPR (art. 143, comma 1, lett. b del d.lgs. n. 42 del 2004). Ciò, in linea con l'assetto che la legislazione statale aveva già assunto anteriormente alla revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione, ove già non era posto in discussione il primato dello Stato nella individuazione dei beni paesaggistici (Corte cost. sentenza n. 334 del 1998). Tale primato è stato non solo avvalorato, ma persinorafforzato dal sopraggiunto art. 117, secondo comma, lett. s) Cost., con il quale alla Regione, nell'esercizio delle competenze che le sono proprie, è riservato un solo spazio ampliativo degli standard ambientali tracciati dalla normativa nazionale (Corte cost. sentenza n. 66 del 2018). Ne segue che le scelte di pianificazione compiute dal PTPR (che, in quanto atto della Regione, non si esaurisce nella ponderazione di profili di tutela paesistica, ma è ricettivo di istanze attinenti al "governo del territorio", ovvero all'urbanistica), per quanto oggetto di concertazione con lo Stato secondo il modulo della leale collaborazione, e a maggior ragione il parere non vincolante reso dalla Regione ex art. 138, non possono in alcun modo pretermettere l'autonoma decisione del competente organo statale di dichiarare il notevole interesse pubblico di un bene paesaggistico. La censura è perciò infondata. 6. Sempre con il primo motivo aggiunto, le ricorrenti insistono sulla violazione dell’art. 140 del d.lgs. n. 42 del 2004, poiché il vincolo reca una disciplina specifica dell’uso del territorio, tale da assumere una “impropria valenza pianificatoria”. La censura è infondata: è infatti pacifico che la dichiarazione in oggetto possa imporre il cd. vincolo vestito (art. 140, comma 2, d. lgs. n. 42 del 2004), come già ribadito dalla sentenza n. 3238/21. Né può reputarsi fondato il rilievo delle ricorrenti in ordine alla ricezione, entro tale vincolo, di profili “di natura ambientale” tali da generare interferenza con le competenze del Ministero dell’ambiente, atteso che, altrettanto pacificamente, il paesaggio, alla cui difesa il vincolo di competenza del MIBACT è preordinato, rientra nella materia della “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema” di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. 7. Con il secondo motivo aggiunto (violazione degli artt. 3, 41 e 43 Cost.; eccesso di potere) le ricorrenti introducono in causa un profilo attinente al legittimo affidamento che esse avrebbero riposto, quanto alla esecuzione del programma

integrato di intervento detto PRINT Eco Village, reso oramai inattuabile a causa del vincolo sopravvenuto. La censura è tesa a contestare sia la mancata considerazione di tale affidamento da parte del MIBACT, sia il sacrificio degli interessi urbanistici ad esso sotteso, sia la disparità di trattamento in cui l’amministrazione sarebbe incorsa, imponendo il vincolo sui fondi delle ricorrenti, ma non su quelli limitrofi (rispetto all’area complessivamente intesa) oggetto a propria volta di un altro programma integrato di intervento, il cd. PRINT Mugilla. Analoghi profili sono stati vagliati dalla già rammentata sentenza n. 276 del 2020 della Corte costituzionale, dalla quale si traggono ampi argomenti per ritenerli tutti infondati nella presente controversia. La Corte ha rammentato la assoluta prevalenza delle esigenze di tutela ambientale sugli obiettivi di pianificazione urbanistica e sviluppo del territorio, sicché questi ultimi, in linea di principio, non possono essere opposti alle prime, al fine di paralizzare l’efficacia del vicolo paesaggistico. Più in particolare, si è affermato che la tutela dell’affidamento, quanto alle iniziative di pianificazione già assunte e frustrate dal vincolo paesaggistico, può rilevare solo se l’attività di edificazione sia già iniziata (punti 4.2.2. e 4,4 del diritto, ove si richiama la conforme giurisprudenza amministrativa), ciò che non è accaduto nel caso di specie, posto che le stesse parti ricorrenti affermano che sono intervenute solo cessioni di aree alla parte pubblica (del resto, la fattispecie concreta è la medesima di cui si è occupata, in sede incidentale, la Corte). Ciò vale anche a superare la censura concernente la disparità di trattamento rispetto alle parti del cd. PRINT Mugilla, ove l’edificazione si è svolta, “essendo evidente che l’avvenuta edificazione o meno di un’area può incidere sul suo pregio ambientale, dunque, sulla sua inclusione in un’area naturale protetta” (punto 4.2.2, con argomento ovviamente valevole anche per l’imposizione del vincolo paesaggistico). 8. Infine, sempre con il secondo motivo aggiunto, le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 42 e 117 Cost., perché, a causa del vincolo, avrebbero subito un’espropriazione larvata della proprietà, senza indennizzo. La censura è infondata, poiché è pacifica la natura conformativa, e non espropriativa, delle limitazioni alla proprietà derivanti dal vincolo paesaggistico (sul punto, anche la sentenza n. 276 del 2020 della Corte, punto 5 e seguenti, con riferimento all’analoga questione dell’inclusione di un’area nel perimetro del parco). 9. In conclusione, il ricorso recante motivi aggiunti va integralmente respinto.