Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre tesi a difesa di un Comune, ha respinto l'appello di una società che ha realizzato un centro commerciale ed ha chiuso con una sbarra meccanica l'accesso al parcheggio pubblico realizzato sull'area ceduta dal privato per garantire gli standard.
Il Tar Lazio, in accoglimento delle nostre difese, a tutela di un Comune sottoscrittore di un accordo di programma insieme a Regione e Asl, ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso di una società privata con la quale si chiedeva un ingente risarcimento del danno a seguito del diniego di accreditamento regionale per una struttura sanitaria post acuzie. Leggasi testualmente nella sentenza del Tar:
"6. Orbene, osserva il Collegio che, nella fattispecie n esame, la ricorrente si limita a dedurre del tutto genericamente di aver subito un danno, senza argomentare alcunché né in ordine al tipo di responsabilità in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, né in ordine alla sussistenza, nel caso concreto, degli elementi costitutivi della stessa. Per quanto qui di interesse, deve essere innanzitutto rilevato che la giurisprudenza ha reiteratamente affermato che “gli accordi di carattere pubblicistico, al pari dei contratti di diritto privato, soggiacciono al criterio dell'interpretazione secondo buona fede (art. 1375 c.c.) e al principio di leale collaborazione tra le parti; principio che trova il suggello, per la P.A., nelle indicazioni contenute negli artt. 2 e 97 Cost. e comunque negli artt. 1175 e 1176 c.c. Tali considerazioni conducono a ritenere che, seppur possa in linea di principio, configurarsi una responsabilità dell'Amministrazione che ha sottoscritto l'accordo di programma e ne violi le pattuizioni, l'estensione di essa nei confronti del soggetto privato coinvolto presupponga (oltre agli elementi della complessa fattispecie che perfeziona l'illecito), la prova di un affidamento incolpevole del privato che deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto” (cfr. T.A.R. Brescia n. 700/2020) Dunque, nell'ambito del procedimento amministrativo, il dovere di correttezza è un dovere reciproco, che grava, quindi, anche sul privato, a sua volta gravato da oneri di diligenza e di leale collaborazione verso l'Amministrazione. Dalla documentazione versata in atti risulta provato che la ricorrente non ha mai realizzato la struttura sanitaria post acuzie, né le ulteriori strutture autorizzate di cui all’atto sottomissione del 20.10.2006 ed in particolare: le strutture “da adibire a centro congressi convegni di aggiornamento professionale”, “strutture da adibire asede per l’Università per attività legate alla ricerca ed alla didattica con annessa foresteria”, “struttura ricettiva e per la ristorazione”. Peraltro, l’inerzia - protrattasi per oltre 10 anni - non può essere giustificata dalla volontà di attendere che “la struttura servita fosse finita”, in quanto la struttura sanitaria privata avrebbe potuto funzionare anche prima dell’Ospedale. Né risulta che la Nettunense abbia mai presentato domanda di rilascio della autorizzazione all’esercizio dell’attività sanitaria. Invero, il diniego de quo è stato adottato dalla Regione a seguito di una istanza del Comune di Ariccia, e non anche della odierna ricorrente. Neppure ha presentato alcuna istanza per ottenere un mutamento della destinazione urbanistica dei terreni de quibus. Il comportamento inerte della Società – che, come visto, non ha iniziato i lavori né ha richiesto le autorizzazioni necessarie per l’esercizio dell’attività sanitaria dal 2006 al 2018 - non può che essere interpretato come disinteresse alla realizzazione di quanto previsto dall’Accordo di Programma. Peraltro, la società ha prestato acquiescenza alla nota della Regione Lazio dell’11 luglio 2017, che, in base alla ricostruzione dei fatti operata dalla stessa ricorrente, costituirebbe l’atto “presupposto”, in conseguenza del quale si sarebbe prodotto il danno nella propria sfera giuridica. Se effettivamente avesse ritenuto che attraverso di esso si fosse realizzato l’inadempimento contrattuale, avrebbe dovuto impugnarlo e non lo ha fatto. Ritiene pertanto il Collegio che il comportamento delle Amministrazioni è stato improntato a criteri di buona fede, atteso che il diniego - dal quale sarebbe derivato il danno dedotto dalla ricorrente - è stato adottato dopo tredici anni dalla data di stipula dell’atto di sottomissione e solamente a fronte dell’incontestato “sostanziale cambio di scenario sanitario attuale rispetto a quello del 2007 rende quindi saturo il fabbisogno specifico”. Lo stesso non può dirsi del comportamento della Nettunense che, invece, ha omesso di attivarsi per ottenere le necessarie autorizzazioni e realizzare le strutture.
Per completezza, in relazione alla quantificazione del danno, non può non rilevarsi come il Comune .., con atto notarile del 14 luglio 2007, a seguito della cessione bonaria delle aree necessarie alla realizzazione dell’Ospedale dei Castelli Romani, ha assegnato in proprietà alla ricorrente i terreni ivi indicati e che sono tutt’ora realizzabili le opere ulteriori di cui all’atto di sottomissione del 20.10.2006. Conseguentemente, la richiesta di un risarcimento pari al valore dei beni ceduti, senza tenere in alcuna considerazione quanto comunque ottenuto dalle Amministrazioni coinvolte è certamente privo di ogni fondamento".
Il Consiglio di Stato ha accolto le nostre tesi a difesa di un Comune avverso l'impugnativa dell'aggiudicazione definitiva, da parte del secondo classificato, della gara per l’affidamento dei servizi di redazione del Piano Urbanistico Comunale Generale e del rapporto ambientale
Il Consiglio di Stato ha accolto le nostre tesi a difesa di una Azienda sanitaria nei confronti di una struttura sanitaria privata accreditata con il SSN che aveva richiesto il pagamento di prestazioni riabilitative in assenza dell'indicazione del minutaggio nelle relative cartelle cliniche.
Il Tar ha accolto le nostre tesi a difesa di una società del settore sanitario impossibilità a partecipare ad una gara di appalto centralizzata.
Leggasi testualmente nell'ordinanza del Tar: "Come già rilevato da questa Sezione, l’indeterminatezza dell’oggetto dell’accordo quadro non è stata sanata con le rettifiche apposte da ARIA s.p.a. alla lex specialis, per cui gli operatori economici non sono stati posti nella condizione di valutare ex ante i presupposti della loro partecipazione. L’articolo 33, paragrafo 1, comma 2, della direttiva 2014/24/UE prevede, tra le clausole dell’accordo quadro relative agli appalti da aggiudicare, <<se del caso>>, quelle che riguardano il profilo quantitativo. Secondo l’interpretazione più aderente ai principi di trasparenza, non discriminazione e concorrenza, in quegli accordi quadro caratterizzati - come quello in oggetto - da prestazioni articolate e complesse e da rilevanti costi per gli investimenti infrastrutturali, non basta che gli atti di gara si limitino ad indicare il valore massimo complessivo delle prestazioni ma è richiesto che essi descrivano, in modo preciso ed univoco, la consistenza ed il valore delle singole prestazioni, al fine di consentire la predisposizione di offerte sostenibili e consapevolmente tarate sulle specifiche esigenze degli enti che hanno manifestato l’intenzione di partecipare all’accordo quadro (Corte di Giustizia dell’Unione europea, Sezione IV, 17 giugno 2021, causa C-23/20). Come già rilevato nelle citate ordinanze cautelari, il riferimento, contenuto nell’articolo 10 del capitolato tecnico, <<all’espressione del fabbisogno degli Enti>>, quale indicatore dei parametri di definizione del valore stimato delle prestazioni da fornire in forza dell’accordo quadro, non pare idoneo a definire con sufficiente approssimazione la quantità delle prestazioni stimate a misura. Neppure la modificazione della clausola di estensione del servizio ad altri enti sanitari, non inclusi nel perimetro dell’accordo quadro, pare idonea a delineare la tipologia delle prestazioni che gli stessi potranno richiedere. Nel bilanciamento dei contrapposti interessi, il Collegio ritiene che, in ragione dell’importanza e della complessità del servizio di gestione digitale della diagnostica per oggetti multimediali, debba essere preferito quello di assicurare la più ampia ed informata partecipazione degli operatori economici, funzionale alla realizzazione di un effettivo confronto competitivo ed alla selezione della migliore offerta, rispetto alla sollecita definizione della procedura di gara per la stipulazione dell’accordo quadro. Ciò anche in considerazione della circostanza che, in attesa della conclusione della procedura di gara, gli enti del servizio sanitario potranno comunque approvvigionarsi dei servizi oggetto dei contratti conseguenti alla stipulazione dell’accordo quadro, a mezzo dei contratti ponte già stipulati. La domanda cautelare deve essere dunque accolta e, per l’effetto, deve essere sospesa l’efficacia del bando di gara e di tutti gli atti della lex specialis, così come rettificati a seguito della determinazione del Direttore generale di ARIA s.p.a. n. 329 del 27 aprile 2022, sino alla definizione del merito del ricorso. La complessità delle questioni trattate giustifica la compensazione delle spese di lite della fase cautelare tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione prima) accoglie la domanda cautelare e, per l'effetto: a) sospende l’efficacia degli atti impugnati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti; b) fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica dell’1 dicembre 2022".
Il CNAPPC, in accoglimento delle nostre tesi a difesa del Presidente dell'Ordine degli Architetti di Roma e dei consiglieri di maggioranza, ha respinto il reclamo contro le elezioni dell'Ordine proposto dai consiglieri non eletti.
Il Tar ha accolto le nostre tesi a difesa dell'impresa controinteressata in una gara di appalto avente ad oggetto il servizio di sosta a pagamento di un Comune, ritenendo legittima l'esclusione dalla gara della ricorrente.
Leggasi testualmente nella sentenza: "Ebbene, con il motivo di ricorso in esame il ricorrente ha inteso per l’appunto censurare la non correttezza, e dunque l’evidente erroneità, delle valutazioni tecniche operate dalla stazione appaltante, per avere le medesime obliterato dati ed elementi (quali il credito d’imposta 4.0 e il valore residuo dei beni strumentali al termine della concessione) che, se adeguatamente considerati, avrebbero influito sugli esiti del calcolo effettuato dalla S.U.A., portando all’emersione di un utile positivo, con la conseguenza che è stato di fatto sollecitato un sindacato giudiziale non già sostitutivo del giudizio tecnico effettuato dall’Amministrazione, bensì teso ad appurare l’attendibilità delle operazioni e delle procedure in cui si è concretato tale giudizio.
4.2.1. Quanto alla mancata considerazione, da parte della S.U.A., del credito d’imposta 4.0 per i beni strumentali nuovi acquistati per l’espletamento del servizio in concessione, la cui spettanza è stata evidenziata soltanto nei giustificativi prodotti in seno al sub-procedimento oggi in esame e non anche nel PEF originario allegato ai documenti di gara, non ha qui rilevanza la questione se tali giustificazioni costituiscano una inammissibile modifica dell’offerta o, all’opposto, siano estrinsecazione della facoltà, accordata all’offerente, di “integrare, chiarire ed eventualmente aggiustare errori nelle giustificazioni relative alle voci di costi che costituiscono la base per l’elaborazione dell’offerta” (come sostenuto dalla ricorrente, che peraltro chiarisce che tale integrazione sarebbe stata possibile solo una volta completata l’interconnessione dei beni nel circuito aziendale, avvenuta nel 2021): al riguardo assume portata dirimente la considerazione che la normativa disciplinante il credito d’imposta di cui trattasi (segnatamente, l’art. 1, comma 1056, legge 30 dicembre 2020, n. 178) prevede che il medesimo sia “utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241” (come peraltro ammesso dallo stesso ricorrente a pag. 7 del ricorso). Ciò comporta che il beneficio fiscale in questione si traduce, di fatto, in una riduzione delle imposte (ovvero delle ulteriori somme – i.e. contributi) da versare in F24 ai sensi del citato articolo 17, e non anche in un abbattimento delle voci di costo che concorrono alla determinazione dell’ammontare degli investimenti iniziali: in altri termini, la circostanza che, nel caso di specie, la ricorrente abbia usufruito di un credito quantificato “nella misura del 50 per cento del costo di acquisizione” di nuovi beni tecnologicamente avanzati non significa che “il loro costo di acquisto sarà abbattuto del 50% in sede di contabilità aziendale” (come sostiene il ricorrente a pag. 7 del ricorso), con la conseguenza che è del tutto errata l’affermazione di parte secondo cui “Le agevolazioni sugli investimenti comportano una riduzione del costo dell’investimento e di conseguenza, un minor costo da ammortizzare” (cfr. pag. 8 del ricorso), come inconferente è il richiamo, operato dalla stessa ricorrente, alla giurisprudenza che ammette l’aggiustamento delle singole voci di costo per sopravvenienze di fatto o normative. Ne deriva pertanto che, quand’anche si volesse ritenere astrattamente spettante il beneficio fiscale di cui trattasi (senza con ciò voler esercitare alcun sindacato in via incidentale ai sensi dell’art. 8 c.p.a.), tale elemento è del tutto ininfluente ai fini delle valutazioni da compiersi sulla sostenibilità del PEF allegato all’offerta: il costo dei beni strumentali acquistati da... Gestioni e previsti nel PEF allegato agli atti di gara sotto la voce “investimento iniziale”, infatti, deve comunque essere computato nel suo importo integrale, pari a complessivi € 125.400,00 (come peraltro confermato dalla Società nei giustificativi prodotti il 15.12.2021), e non anche nella misura ridotta del 50%. È pertanto pienamente legittima la valutazione operata sul punto dalla S.U.A., la quale ha rilevato che “il meccanismo del credito d'imposta non determina un elemento economico positivo certo, bensì un credito, il cui utilizzo è subordinato e limitato alla rilevazione di debiti per imposte in misura capiente per la sua compensazione”. 4.2.2. Sono destituite di ogni fondamento anche le censure con cui la ricorrente, da un lato, mira ad evidenziare la sostenibilità dell’offerta applicando il coefficiente di ammortamento del 15% previsto dalla normativa fiscale, nonché, dall’altro, intende contestare la mancata considerazione, da parte della S.U.A., del valore residuo dei beni (segnatamente i parcometri) al termine della concessione. Non assume infatti alcun rilievo, nel caso di specie, la durata “fiscale” dell’ammortamento dei beni acquistati per l’espletamento del servizio, né la relativa quota di ammortamento (calcolata applicando i coefficienti di legge), considerata la chiara portata conformativa della sentenza del Consiglio di Stato n. 7638/2021, che ha imposto un riesame del PEF dell’aggiudicataria .... Gestioni sulla base di un “ammortamento quadriennale degli investimenti”: ne deriva che l’importo complessivo dell’investimento andava suddiviso per 4, con una sempliceoperazione matematica che non poteva prevedere l’applicazione, al divisore della relativa frazione, di valori diversi (quali, in particolare, 6 – pari alla durata della concessione comprensiva della eventuale proroga biennale – ovvero 7 – che la ricorrente asserisce essere la durata scaturente dall’applicazione del DM 31/12/88). Ne consegue anche che sono del tutto irrilevanti sia la circostanza che i beni acquistati per l’espletamento del servizio conservino, alla scadenza del periodo quadriennale di durata dell’affidamento, un “valore commerciale” residuo (né peraltro assume rilievo il relativo ammontare), sia il fatto che il suddetto valore residuo fosse “capiente”, ossia idoneo a coprire il residuo valore contabile (non ammortizzato) dell’investimento. Peraltro, la medesima pronuncia n. 7638/2021 ha già preso specifica posizione su tale doglianza, così argomentando: “Non sono condivisibili invece le deduzioni difensive della ... Gestioni, la quale osserva che la parte non ammortizzata degli investimenti fatti per la concessione oggetto di controversia sarebbe comunque recuperata in seguito, nel corso dell’ordinario esercizio dell’impresa, e che l’ammortamento di sei anni esposto nel piano economico-finanziario è conforme a quello fiscale, previsto sul maggiore orizzonte temporale di sette anni. La deduzione così sintetizzata tende infatti a svalutare la funzione del piano nella procedura di affidamento in questione, che è quella di dimostrare la sostenibilità della concessione sulla base delle relative componenti economiche attive e positive rivenienti dalla sua gestione. Rispetto a tale finalità, che impone quindi di avere riguardo esclusivo all’orizzonte temporale della concessione, è dunque irrilevante che il concessionario possa successivamente recuperare i costi ammortizzati. Per valutare la sostenibilità della gestione, che a sua volta è garanzia di corretta esecuzione del contratto, è infatti necessario dimostrare il recupero nel periodo contrattualmente previsto”. 5. Destituito di fondamento, sia in fatto che in diritto, è anche il secondo mezzo di gravame, con cui la ricorrente lamenta che il gravato provvedimento non sia stato preceduto dalla previa comunicazione dei motivi comportanti la chiusura negativa.
Il prestigioso quotidiano de Il "Sole 24 ORE" ha pubblicato il Report "Gli Studi Legali dell’anno 2022".
Questa ricerca ha avuto lo scopo di identificare per i lettori del Sole 24 ORE le eccellenze del panorama legale italiano e ha conferito il riconoscimento a 384 studi legali sul territorio italiano,
Tra di essi, è stato riconosciuto, anche per quest'anno, lo "Studio Legale Avv. Gianluca Piccinni", segnalato tra i migliori sul territorio nazionale.
Il Tar Lazio, in accoglimento delle nostre difese a favore di una società proprietaria di terreno sito in un Comune laziale, ha avanzato un'istanza al Comune, perché l’area ottenesse una nuova destinazione urbanistica, stante la decadenza di un vincolo di carattere espropriativo in zona N5 (verde pubblico) e M6 (servizi pubblici), apposto con l’11 febbraio 1975, e non rinnovato nel 1980.
Il Comune è rimasto silente e a seguito del nostro ricorso ex art. 117 cpa si è chiesto al Tar che sia accertato l’obbligo del Comune di pronunciarsi sull’istanza, nonché per la condanna del Comune a risarcire il danno derivante dalla decadenza del vincolo.
Il Tar ha accolto il ricorso affermando: "che è pacifico il dovere dell’amministrazione di riqualificare urbanisticamente le cd. aree bianche, a condizione che esse siano davvero tali, ovvero che il vincolo apposto non abbia natura conformativa".
A seguito della protratta inerzia del Comune, il Tar nominava un Commissario ad acta.
Nella menzionata ordinanza testualmente si legge: "Considerato che il commissario ad acta, apprezzata la natura espropriativa del vincolo, ritiene di dover procedere a nuovo azzonamento del fondo, e domanda chiarimenti in questa sede, sul punto se rientri nei suoi poteri adottare ogni atto necessario all’approvazione della variante urbanistica che sia di competenza comunale, compresi quelli spettanti agli “organi politici”;
che la risposta a tale quesito è affermativa, dovendo il commissario surrogare il Comune inerte in ogni attività necessaria al soddisfacimento della pretesa a ad un nuovo azzonamento, reputato congruo;
che, a tal fine, e tenuto conto sia della complessità del compito, sia della perdurante emergenza da Covid 19, è opportuno prorogare il termine di ulteriori 360 giorni dalla notifica o comunica della presente ordinanza, di cui è onerata parte ricorrente"
Il Tar Lazio, in accoglimento delle nostre difese a tutela del Rti aggiudicatario della gara di appalto indetta dal Policlinico Umberto 1^ di Roma, ha respinto il ricorso della seconda classificata.
Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre difese a tutela di un Comune, ha annullato la sentenza del Tar relativa alla gara di appalto per l'assistenza domiciliare di persone anziane e disabili.
Leggasi testualmente nella sentenza: "Passando all’esame delle singole censure, con il primo motivo, anzitutto, le odierne appellanti, Comune e Alteya, lamentano che il primo giudice avrebbe erroneamente respinto l’eccezione d’inammissibilità con cui gli stessi appellanti avevano dedotto la violazione del divieto di andare contra factum proprium., trattandosi di appalto avente ad oggetto il servizio di assistenza domiciliare (rectius: presso il paziente) di cittadini residenti nel territorio di Ciampino e Marino.
Il primo giudice ha respinto l’eccezione perchè, a suo dire, la posizione delle due concorrenti non erano affatto assimilabili, avendo il Consorzio appellato - diversamente dall’altra concorrente- correttamente proceduto all’indicazione del costo degli autisti, ricomprendendolo all’interno del costo della manodopera, con la relativa indicazione del relativo “monte ore” e, senza “intaccare” il monte ore “assistenziale”. Il motivo non è privo di giuridico fondamento perchè, come ha ben rilevato la difesa appellante, nell’economia della tipologia dell’appalto in questione, il servizio di trasporto non pu che rappresentare un servizio meramente eventuale ed accessorio. Rafforza tale conclusione il rilievo che l’art. 6 del capitolato, la cui rubrica intitolata “Descrizione del servizio” prevede il mero “rimborso” per il servizio di trasporto indicato nella misura di euro 60.750,00, in proporzione dunque ai chilometri percorsi . E del resto, va qui aggiunto, che in tale previsione viene indicato, con riguardo al servizio di trasporto utenti il solo parametro chilometrico (…chilometraggio pari a 135,000 Km), non facendosi, in realt , riferimento alcuno – diversamente da quanto, invece, precisato per l’attivit assistenziale l dove indicato un monte ore “presunto”. Il costo del trasporto , dunque, conforme alle prescrizioni capitolari, se inteso come disancorato dal monte ore; ne consegue che - diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice – il costo del lavoro non va ad erodere il monte ore destinato alle prestazioni assistenziali, se correttamente inteso come sganciato dal monte ore stesso. Diversamente ragionando il capitolato avrebbe dovuto indicare un “monte ore” lavorativo per gli autisti, analogamente a quanto stabilito per gli operatori assistenziali. Il “rimborso del servizio di traporto” non poteva, dunque, che essere previsto in favore dello stesso operatore assistenziale che, ove necessario, avrebbe dovuto provvedere anche all’accompagnamento della persona assistita alle eventuali visite mediche. Del resto, dalla documentazione prodotta (rectius: primi giustificativi) emerge che .. – in coerenza con le disposizioni capitolari - ha correttamente indicato, tra le figure addette al servizio, due “addetti al trasporto” (per un totale di 5.400 ore annue), specificando -tra l’altro- che tali ore non sarebbero state riferibili all’attivit di “trasporto” di cui all’art. 9 del capitolato, ma ricomprese essenzialmente “nelle ore di assistenza”. E ci in piena aderenza con quanto stabilito dall’art. 8 del capitolato che descrive, l’attività di assistenza domiciliare, includendovi anche ulteriori attivit – quali quelle di fornire assistenza ai famigliari, disbrigo pratiche burocratiche etc. – occorrenti per il trasferimento degli assistiti. D’altro canto, che questa sia la interpretazione corretta delle disposizioni capitolari trova ulteriore conferma nell’offerta economica presentata dallo stesso Consorzio appellato che, come puntualmente rilevato dalla difesa del comune, non fa alcun – parimenti - riferimento al costo degli autisti. Nè tale indicazione può ritenersi supplita dai giustificativi successivamente integrati dal medesimo appellato a seguito del sub procedimento di anomalia dell’offerta, vigendo il principio della immodificabilit dell’offerta che possono fare ingresso negli atti di gara. Di qui l’accoglimento della censura in esame, 10. - Dalle svolte considerazioni discende anche l’accoglimento del secondo motivo dedotto, essendo evidente che, a fronte di un’attenta esegesi delle disposizioni del capitolato, devono ritenersi insussistenti i presupposti ex art. 34 c.p.a per fondare, come invece ritenuto dal primo giudice, l’invocato e riconosciuto risarcimento anche per equivalente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sugli appelli nn. 7206/2021 e 7346/2021, proposti il primo da Comune ed il secondo da ...... accoglie nei sensi di cui in motivazione.
La Corte dei Conti Centrale Giurisdizionale, in accoglimento del nostro atto di intervento a sostegno dell'Azienda Sanitaria Locale, ha respinto l'appello del sanitario dipendente.
Il Consiglio di Stato, ha accolto le nostre tesi, riformando la sentenza del Tar Lazio, a favore di un'impresa seconda classificata in graduatoria, per l'affidamento del servizio di gestione dei parcheggi pubblici a pagamento.
Leggasi testualmente nella sentenza: "L’appellante ha infatti lamentato che la sentenza avrebbe erroneamente interpretato la funzione del PEF in uno alle clausole del disciplinare di gara, recependo acriticamente le deduzioni difensive delle resistenti, pervenendo così a esiti contraddittori (in quanto, nella misura in cui riconosce che il piano economico finanziario è stato redatto su un arco temporale più ampio, non ne avrebbe tuttavia tratto le logiche conseguenze, nel senso di dichiararne l’illegittimità perché calibrato includendo anche il periodo di rinnovo del contratto, meramente opzionale ed eventuale). In sintesi, l’appellante lamenta che la sentenza avrebbe inopinatamente “dequotato” la valenza del PEF, che consente al concorrente di dimostrare la concreta capacità di eseguire correttamente la prestazione per la sua durata attraverso la responsabile prospettazione di un equilibrio economico-finanziario di investimenti e connessa gestione, nonché del rendimento per il relativo periodo, e all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione, dandole modo di apprezzare la congruenza e l’affidabilità della sintesi finanziaria contenuta nell’offerta in senso stretto (Cons. Stato, V, 13 ottobre 2020, n. 6168; V, 26 maggio 2020, n. 3348; V, 2 settembre 2019, n. 6015; V, 13 aprile 2018, n. 2214). 5. Nel merito, deve premettersi che la sopra richiamata clausola del disciplinare di gara impone ai concorrenti di allegare all’offerta economica «a pena di esclusione» il piano economico-finanziario, «contenente un’analitica disamina delle componenti finanziarie ed economiche della gestione», e cioè «i ricavi e costi del personale, della sicurezza, costi e ricavi di gestione, etc. e dovrà evidenziare un saldo finale di gestione positivo ed un adeguato utile di impresa a favore del concessionario». In linea con quanto statuito dalla sentenza di primo grado, la clausola in questione va interpretata nel senso che l’esclusione è automatica nel solo caso di mancanza del piano, da considerarsi dunque un elemento essenziale dell’offerta, necessario per consentire all’amministrazione concedente di valutarne la sostenibilità economica, sulla base delle componenti positive e negative della gestione.
E’ peraltro causa di esclusione anche l’assenza di margine di gestione positivo e di un adeguato utile, derivante dalla somma algebrica delle poste economiche inerenti alla gestione del servizio affidato in concessione, ma a differenza del caso precedente, di carenza documentale, tale conseguenza può aversi non in via di automatismo, ma solo sulla base di una verifica in concreto sull’attendibilità delle componenti esposte nel piano. Tanto premesso, nel caso di specie una simile verifica è mancata.
Come infatti deduce l’appellante, l'aggiudicataria ha esposto un utile annuo considerando un costo per ammortamenti relativi agli investimenti calcolato su sei anni di concessione, laddove quella in contestazione ha durata quadriennale, mentre il biennio aggiuntivo è fatto oggetto dalla normativa di gara di opzione di rinnovo, e dunque è eventuale e come tale non può essere considerato certo. Ne segue che per questa parte il piano economico-finanziario dell’aggiudicataria non è attendibile, perché recante una potenziale sottostima di una voce di costo in grado di rendere la gestione in perdita, per il maggior costo derivante dall’ammortamento degli investimenti in un numero minore di anni, tale da erodere completamente l’utile esposto. Ciò nonostante il piano in questione non è stato oggetto di richiesta di giustificazioni da parte della stazione appaltante, il cui operato è dunque affetto da carente istruttoria in ordine ad un aspetto decisivo per quanto concerne la valutazione della sostenibilità economica della concessione da affidare. Non sono condivisibili invece le deduzioni difensive dell'appellata, la quale osserva che la parte non ammortizzata degli investimenti fatti per la concessione oggetto di controversia sarebbe comunque recuperata in seguito, nel corso dell’ordinario esercizio dell’impresa, e che l’ammortamento di sei anni esposto nel piano economico-finanziario è conforme a quello fiscale, previsto sul maggiore orizzonte temporale di sette anni. La deduzione così sintetizzata tende infatti a svalutare la funzione del piano nella procedura di affidamento in questione, che è quella di dimostrare la sostenibilità della concessione sulla base delle relative componenti economiche attive e positive rivenienti dalla sua gestione. Rispetto a tale finalità, che impone quindi di avere riguardo esclusivo all’orizzonte temporale della concessione, è dunque irrilevante che il concessionario possa successivamente recuperare i costi ammortizzati. Per valutare la sostenibilità della gestione, che a sua volta è garanzia di corretta esecuzione del contratto, è infatti necessario dimostrare il recupero nel periodo contrattualmente previsto. Ciò pacificamente non è avvenuto nel caso di specie, per cui in esecuzione della presente pronuncia di annullamento la stazione appaltante dovrà riesaminare il piano economico-finanziario dell’aggiudicataria e verificare se sulla base di un ammortamento quadriennale degli investimenti lo stesso espone un margine di gestione positivo ed un utile di impresa. 6. L’appello deve quindi essere accolto ed in riforma della sentenza impugnata il ricorso di primo grado della Si. Gi. Servizi va accolto nei termini poc’anzi esposti,
Il Tar Campania, sede di Napoli, ha accolto il nostro ricorso a difesa dell'impresa aggiudicataria che era stata esclusa dalla gara di appalto, dopo la stipula del contratto, per asserite (e non comprovate) violazioni non definitivamente accertate di imposte e tasse ai sensi dell'art. 80, comma 4, 2 periodo D.lgs. 50/16.
Leggasi testualmente nella sentenza del Tar: "Ai sensi dell’art. 80, comma 4, del D. Lgs. n. 50/2016 - come novellato dall’art. 8, comma 5 lett. b) del D.L. n. 76/2020 convertito dalla L. n. 120/2020 - “Un operatore economico è escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se ha commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse … secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore all'importo di cui all'articolo 48-bis, commi 1 e 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602. Costituiscono violazioni definitivamente accertate quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione…Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d'appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione ai sensi rispettivamente del secondo o del quarto periodo...”. La disposizione distingue due ipotesi concernenti, rispettivamente: - la commissione di violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse (o dei contributi previdenziali), in presenza delle quali è prevista l’automatica esclusione dell’operatore; - l’inadempimento agli obblighi di pagamento delle imposte e delle tasse (o dei contributi previdenziali) non definitivamente accertato che, viceversa, “può” comportare l’estromissione del partecipante. In entrambe le ipotesi, la valutazione di gravità è predeterminata dal legislatore al raggiungimento della soglia (€ 5.000,00) di cui all’art. 48 bis del D.P.R. n. 602/1972. La differenza tra le due previsioni riposa, a ben vedere, sull’automaticità, nel primo caso, ovvero sulla facoltatività del potere di esclusione da parte della stazione appaltante, al verificarsi dei presupposti normativamente previsti. Orbene, nella fattispecie in trattazione, non è contestato che si versi nella seconda ipotesi, per la quale non opera l’automatismo espulsivo proprio della prima ipotesi. Difatti, i rilievi dell’Agenzia delle Entrate riguardano, rispettivamente, n. 3 processi verbali di constatazione che costituiscono, come si vedrà, meri atti istruttori endoprocedimentali, ed un avviso di accertamento, avverso il quale pende giudizio innanzi al giudice tributario; pertanto, non si è in presenza di violazioni definitivamente accertate, intese come “quelle contenute in sentenze o atti amministrativi non più soggetti ad impugnazione” ai sensi dell’art. 80, comma 4, del Codice degli Appalti pubblici. Ai fini dell’adozione dell’atto espulsivo, si palesa pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante in ordine alla concreta incidenza del requisito carente sulla integrità ed affidabilità dell’operatore. Facendo applicazione dei principi elaborati dall’Adunanza Plenaria n. 16/2020 (§ - 15) in materia di false informazioni rese dai partecipanti alle procedure di affidamento di contratti pubblici (art. 80, comma 5 lett. ‘c-bis’ del D. Lgs. n. 50/2016), può ritenersi che, qualora sia mancata, una simile valutazione non può essere rimessa al giudice amministrativo, ostandovi il principio di separazione dei poteri, che in sede processuale trova emersione nel divieto sancito dall’art. 34, comma 2, del codice del processo amministrativo, secondo cui il giudice non può pronunciare “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati”.
Al riguardo, occorre rilevare che la norma non indica i parametri sulla base di quali la stazione appaltante possa procedere con l’esclusione dell’operatore in presenza di debiti connessi ad accertamenti non definitivi, fissando unicamente il criterio della gravità della violazione connessa all’importo di cui all’art. 48 bis. Peraltro, non può neppure ritenersi che l’amministrazione appaltante verifichi nel merito la pretesa dell’erario, sostituendosi alle prerogative dell’ente impositore o del concessionario della riscossione.
Al fine di perimetrare il sindacato dell’amministrazione, può allora richiamarsi il principio di proporzionalità dell’azione amministrativa che, come noto, impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quando è opportuno (in relazione al risultato che si intende raggiungere) e necessario (cioè non altrimenti surrogabile) per conseguire lo scopo prefissato. Alla luce di tale principio, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio in esame rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 746/2017).
Dopo la pronuncia di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale di Milano sfavorevole alla ricorrente – e nelle more della definizione del giudizio di appello – non risulta poi notificato alla ricorrente atto di intimazione per la riscossione frazionata del tributo prevista dall’art. 68 del D. Lgs. n. 546/1992 (“Anche in deroga a quanto previsto nelle singole leggi d'imposta, nei casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato: a) per i due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso…”). Per l’effetto, non risulta integrata la fattispecie di cui all’art. 80, comma 4, del Codice degli Appalti pubblici che postula, quale condizione ostativa alla partecipazione alla gara, l’inottemperanza a “gli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse” avendo l’istante assolto, allo stato e salvo la notifica di ulteriori atti di esecuzione frazionata del tributo, agli obblighi di versamento previsti dalla legge in relazione a contestazioni ritualmente impugnate innanzi agli organi della giustizia tributaria. Le considerazioni svolte conducono, in definitiva, all’accoglimento del ricorso e al conseguente annullamento del provvedimento impugnato con conseguente condanna della parte resistente – in applicazione del criterio della soccombenza di cui agli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.a. - al pagamento delle spese di giudizio nella misura indicata in dispositivo.
L'annoso problema della gestione del Cimitero di Guidonia è stato portato all'attenzione della trasmissione di Manda Raitre con l'intervista all'Avv. Gianluca Piccinni in qualità di difensore del concessionario, aggiudicatario della gara di appalto per la gestione ed ampliamento del cimitero.
Nonostante le numerose sentenze del Tar e quella del Consiglio di Stato tutte favorevoli per il concessionario, il Comune di Guidonia, a tutt'oggi, non ha ancora proceduto al collaudo dei 2060 loculi e 690 ossari realizzati e neppure a rimuovere dal cimitero le oltre 195 salme ivi abbandonate.
Il Tar Lazio Lazio ha accolto le ns. tesi a sostegno di un Comune che aveva annullato d'ufficio il permesso di costruire rilasciato a dei privati per l'esistenza di un servitù di elettrodotto.
Il Tar Lombardia, in accoglimento delle nostre tesi ha sospeso il bando Ris/Pacs di Aria s.p.a.