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Sentenze - Avvocato Gianluca Piccinni Roma

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Impianto eolico, accolte le ns. tesi: va annullata l'autorizzazione unica regionale, stante l'interferenza con altra società, per omesso coinvolgimento nel procedimento (Tar Basilicata, sent. n. 320/2025)

Il Tar Basilicata, in accoglimento del nostro ricorso a difesa di una società che realizza impianti eolici, ha annullato l'autorizzazione unica rilasciata ad un altro operatore economico sulla medesima area e con interferenza degli impianti.

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Urbanistica, conferenza di servizi art. 14 ter L. 241/90, accolte le ns. tesi: il silenzio-assenso non può dirsi maturato in presenza del parere contrario della Soprintendenza (Cons. Stato, n. 9227/2025)

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in oggetto, ha accolto le ns. tesi a difesa di un Comune Laziale che ha concluso, con determinazione negativa, la conferenza dei servizi ex art. 14 ter L. 24/90 per il rilascio di un permesso di costruire convenzionato ex art. 28 bis tuel.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato: "Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Oggetto del presente giudizio è la legittimità della determinazione conclusiva con esito negativo, adottata dal Comune al termine della conferenza di servizi indetta ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 241/1990, per l’esame dell’istanza di permesso di costruire convenzionato proposta dalla società Fincres S.p.A., finalizzata alla riqualificazione dell’ex Cartiera di Tivoli. La società ricorrente contesta la legittimità dell’atto conclusivo, nonché del parere negativo reso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma, e delle posizioni espresse dalle altre amministrazioni convocate (in particolare Regione Lazio, ACEA ATO 2, Dipartimento Lavori Pubblici del Comune), che non avrebbero espresso un parere formale e che sarebbero da ritenersi favorevoli per silentium. Secondo la ricorrente, la conferenza si sarebbe dovuta chiudere con esito favorevole, in quanto il Comune avrebbe dovuto considerare acquisiti i pareri positivi in assenza di dissensi espressi, ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7, legge n. 241/1990. Quanto al parere della Soprintendenza, lo si qualifica come sommario, non costruttivo e contrario al principio di leale collaborazione. Le doglianze sono infondate. In primo luogo, il parere negativo reso dalla Soprintendenza con nota prot. n. 55079 del 17 ottobre 2018 si presenta come tempestivo, puntualmente motivato e coerente con la disciplina di tutela del paesaggio e dei beni culturali. La Soprintendenza dà atto dei vincoli presenti sull’area (vincoli paesaggistici ex art. 134, lett. a), b), c) del D.lgs. n. 42/2004; vincoli archeologici; inserimento dell’area nel sito UNESCO della Villa d’Este e centro storico) e svolge un’analisi articolata circa l’impatto dell’intervento progettato. Tra i profili critici evidenziati, la Soprintendenza rileva: l’incongruità delle volumetrie proposte, la non armonizzazione dell’edificato col contesto urbano tutelato, l’incidenza su aree ad alto potenziale archeologico e l’inadeguatezza delle misure di mitigazione ambientale. La stessa sottolinea la carenza di uno studio ambientale esaustivo, la mancata valutazione paesaggistica ai sensi del Codice dei Beni Culturali e la necessità di orientare l’intervento secondo criteri di compatibilità formale, materica e paesaggistica. Il Collegio ritiene che tale parere costituisca esercizio non solo legittimo, ma doveroso delle competenze di tutela attribuite alla Soprintendenza. Esso non risulta apodittico né preclusivo in modo irragionevole. Al contrario, nella parte finale del documento, l’Amministrazione manifesta espressamente la disponibilità a valutare un diverso progetto, più rispettoso del contesto e fondato su principi di compatibilità ambientale e valorizzazione del sito. Tale atteggiamento, pur non implicando una mitigazione del dissenso, dimostra che la posizione assunta è espressione di una valutazione tecnica consapevole e non pregiudiziale, coerente con i canoni di correttezza procedimentale e con il principio di collaborazione tra amministrazione e privato, così come delineato dalla giurisprudenza amministrativa. Deve dunque affermarsi, in linea con l’orientamento giurisprudenziale cui il Collegio ritiene di aderire, che in presenza di un parere negativo motivato e tempestivo reso da una Soprintendenza su beni soggetti a vincolo, tale dissenso assume natura vincolante e impedisce l’approvazione del progetto (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24 maggio 2022, n. 4098). 20. L’intero procedimento, pertanto, si è chiuso negativamente in ragione del legittimo esercizio di una competenza espressa nei termini, con contenuti coerenti con l’interesse pubblico primario alla salvaguardia dei beni culturali e paesaggistici, costituzionalmente protetto ai sensi dell’art. 9 Cost. 21. Va altresì esclusa nella fattispecie la formazione del silenzio-assenso da parte delle amministrazioni che non hanno partecipato alla conferenza o non hanno espresso un parere formale. Come più volte chiarito dalla giurisprudenza, il silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni non può formarsi in presenza di carenze istruttorie rilevanti, tali da impedire una valutazione compiuta del progetto. Nel caso di specie, la documentazione trasmessa da parte della ricorrente è stata ritenuta incompleta da più amministrazioni (ACEA ATO 2, Dipartimento Lavori Pubblici, Regione Lazio), che hanno espressamente evidenziato l’impossibilità di esprimere un parere compiuto per difetto delle informazioni progettuali. La stessa Soprintendenza ha precisato che l’unica integrazione ricevuta “consentiva solo sommariamente l’espressione del parere”, e ha dovuto supplire a tale mancanza ricorrendo a conoscenze dirette e fonti storiche indipendenti. Ne consegue che, in assenza di un progetto completo e valutabile, non poteva ritenersi formato alcun assenso implicito, e l’amministrazione procedente non era legittimata a concludere favorevolmente la conferenza. 24. In definitiva, la legittimità del provvedimento conclusivo negativo, fondato su un parere vincolante non superato, nonché sull’assenza di una base istruttoria idonea ad attivare una determinazione favorevole in conferenza, resiste alle censure formulate. Va peraltro rilevato che, nonostante la Soprintendenza avesse espressamente manifestato una disponibilità a valutare un progetto alternativo, maggiormente rispettoso delle caratteristiche storiche, paesaggistiche e archeologiche del sito, la società ricorrente non ha ritenuto di rimodulare la proposta progettuale, né ha attivato ulteriori interlocuzioni o integrazioni nel senso auspicato dall’amministrazione preposta alla tutela. Tale inerzia rafforza la conclusione circa la piena legittimità dell’azione amministrativa e conferma l’assenza di presupposti per un’eventuale valutazione favorevole dell’istanza".

 

Appalti conservazione digitale pa, accolte le ns. tesi: va escluso il concorrente privo di infrastruttura in cloud qualificata con Determinazione AgID n. 628/2021 (Tar Latina 642/2024)

Il Tar Latina, in accoglimento delle ns. tesi a difesa del Rti aggiudicatario, ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento di esclusione dalla procedura aperta dell'Asl Latina, ai sensi dell’art. 60 c.1 del d. lgs 50/2016, tramite piattaforma telematica per la fornitura in noleggio full risk di un sistema RIS-PACS e CLS con relativi componenti.

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Elettrodotto, accolte le ns. tesi: è legittimo il diniego di permesso di costruire di un edificio che ricade dentro la fascia di rispetto dell'elettrodotto (Cons. Stato n. 7038/2024)

Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre difese, ha dichiarato legittimo il diniego di permesso di costruire di un Comune laziale da noi difesa, in quanto da progetto l'edificio sarebbe dovuto essere edificato dentro la fascia di rispetto dell’elettrodotto, cioè interferisce in modo significativo con il corridoio individuato dalla DPA, o con le aree individuate dalle APA, il Comune non può procedere ad autorizzarne la costruzione.

Leggasi testualmente nella sentenza: "14. Con il secondo motivo gli appellanti deducono che la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente valutato gli accertamenti effettuati dall’ARPA Lazio sul sito in questione giacché le misurazioni avrebbero accertato, in corrispondenza dell’edificio, emissioni inferiori all’obiettivo di qualità di 3 microtesla di cui alla l. 36 del 2001 e al d.P.C.M. 8 luglio 2003, per cui la determinazione della fascia di rispetto, ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. h), della l. n. 36/2001, sarebbe superflua. In altre parole, sarebbero inesistenti i rischi per la salute e l’incolumità pubblica e privata. 14.1. Il motivo è infondato. L’art. 4, comma 1, lett. h), della l. 36/2001, “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, prevede che lo Stato provvede alla determinazione dei parametri per la previsione di fasce di rispetto per gli elettrodotti, precisando in maniera perentoria che “all'interno di tali fasce di rispetto non è consentita alcuna destinazione di edifici ad uso residenziale, scolastico, sanitario ovvero ad uso che comporti una permanenza non inferiore a quattro ore”. La normativa primaria introduce, dunque, nell’ordinamento, un vincolo di inedificabilità assoluta, inderogabile (ex multis, sent. Consiglio di Stato, sez. IV n. 7019 del 19 ottobre 2021). La metodologia di calcolo delle citate fasce di rispetto è stata definita con Decreto del Ministero dell’Ambiente del 29 maggio 2008 che, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.C.M. dell’8 luglio 2003, ha previsto il procedimento da adottarsi per la determinazione delle fasce di rispetto pertinenti alle linee elettriche (aeree e interrate) e alle stazioni elettriche, sia esistenti che allo stato di progetto. In particolare, il vincolo si esplicita con due livelli di approfondimento: la Distanza di Prima Approssimazione (DPA) ed il calcolo esatto della fascia di rispetto. La procedura segue la seguente scansione: una volta identificata la linea elettrica i soggetti interessati o il Comune devono richiedere al gestore della linea la DPA (Distanza di Prima Approssimazione) in formato numerico. Tale distanza, fornita dal gestore, individua un corridoio con al centro il tracciato della linea; tale corridoio rappresenta la fascia di rispetto di 1° livello dell’elettrodotto, che non deve interferire con l’edificio in progetto, destinato alla permanenza prolungata delle persone superiore alle 4 ore giornaliere. Per i casi complessi (presenza di due o più linee parallele, presenza due o più linee che si incrociano), oltre alle singole DPA delle linee si devono richiedere al gestore le APA (Aree di Prima Approssimazione). Tali aree rappresentano la fascia di rispetto di 1° livello dell’elettrodotto, che non deve interferire con l’edificio in progetto, destinato alla permanenza prolungata delle persone superiore alle 4 ore giornaliere.

Una volta nota la DPA (e quando necessario l’APA), nel caso in cui l’edificio in progetto si trovi fuori dalla fascia di rispetto di 1° livello dell’elettrodotto, cioè non interferisce né con il corridoio individuato dalla DPA, né con le aree individuate dalle APA, il Comune può procedere direttamente ad autorizzarne la costruzione, senza ulteriori approfondimenti. Nel caso in cui, invece, l’edificio ricada totalmente dentro la fascia di rispetto dell’elettrodotto, cioè interferisce in modo significativo con il corridoio individuato dalla DPA, o con le aree individuate dalle APA, il Comune non può procedere ad autorizzarne la costruzione. Nel caso in cui, infine, l’edificio ricada solo in parte dentro la fascia di rispetto dell’elettrodotto, cioè interferisce per una porzione trascurabile con il corridoio individuato dalla DPA o con le aree individuate dalle APA, il Comune dovrà necessariamente richiedere al gestore/proprietario dell’elettrodotto il calcolo esatto della fascia di rispetto (2° livello di approfondimento) sul sito specifico di interesse. N. 02256/2022 REG.RIC.

Pertanto, il Comune che ha in gestione la pratica edilizia relativa a un edificio da realizzare a una distanza dall’elettrodotto inferiore a quella prevista dal corridoio individuato dalla DPA o dalle aree individuate dalle APA per i casi complessi, deve richiedere al Gestore il calcolo esatto della fascia di rispetto sul sito specifico di interesse. Una volta ricevuto tale calcolo, il Comune dovrà verificare che l’edificio in progetto non ricada all’interno del tracciato della linea. Se non vi ricade, il progetto potrà essere autorizzato. In sintesi, se l’edificio in progetto ha una destinazione a permanenza prolungata superiore alle 4 ore giornaliere (come nel caso di specie) occorre procedere alla identificazione della linea ad alta tensione; successivamente, se il caso è semplice (una sola linea in un tratto rettilineo), il proponente deve acquisire la D.P.A. dal Gestore, se è complesso dovrà acquisire anche l’A.P.A.; dopo di che, se la distanza dell’edificio in progetto dall’asse della linea è maggiore della D.P.A., il Comune può autorizzare la costruzione, altrimenti è necessario un approfondimento con il Gestore per il calcolo esatto della fascia di rispetto, nel qual caso se l’edificio non intersecherà la linea fornita dal Gestore allora la costruzione potrà essere autorizzata, altrimenti non potrà autorizzarla.

14.2. Nel caso in esame, il rilascio del permesso di costruire è avvenuto in violazione della fascia di rispetto di cui all’art. 4, comma 1, lett. h) della l. n. 36/2001, da calcolarsi ai sensi del d.m. 29 maggio 2008, sicché la misurazione effettuata dall’ARPA Lazio con i sopralluoghi del 11 dicembre 2019, 9 luglio 2020 e 21 gennaio 2021, da cui risulterebbe il non superamento dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione dell’obiettivo di qualità non rileva poiché le misurazioni hanno riguardato un momento contingente e non hanno tenuto conto che sussiste comunque la fascia di rispetto all’interno della quale non può essere allocato l’esercizio commerciale originariamente assentito con il permesso di costruire poi annullato. Ciò si desume anche da quanto ha affermato la stessa ARPA Lazio, nel corso del N. 02256/2022 REG.RIC. sopralluogo del 9 luglio 2020, laddove ha confermato “le misure eseguite in data 11/12/2019”, precisando “che esse non sono legate alla determinazione della fascia di rispetto degli elettrodotti, compito che spetta come da normativa vigente all’ente proprietario delle linee elettriche, in questo caso TERNA S.p.A. Il Dr. inoltre ha spiegato che le misure eseguite in data 11/12/2019 sono misure puntuali volte a verificare che i livelli di induzione magnetica siano nei limiti previsti dalla Legge vigente in materia” (doc. 15 del fascicolo di primo grado). Ciò è confermato dalla nota del 25 gennaio 2021, depositata dal Comune nel giudizio di primo grado in data 6 aprile 2021, ove si indica espressamente che le misurazioni puntuali del campo elettrico e magnetico effettuate non sono utili ai fini del calcolo della fascia di rispetto dell’elettrodotto, che invece compete al gestore della linea elettrica.

Sul punto l’ARPA Lazio si era già espressa, nei medesimi termini, con nota del 28 ottobre 2020, pure in atti e con la nota di trasmissione del 20 gennaio 2021 prot. n. 3118 ARPA precisa che “le misure effettuate non sono utili ai fini del calcolo della fascia di rispetto degli elettrodotti che per legge è un compito spettante al Gestore/Proprietario degli stessi” (all. 3 primo grado dep. Comune).

15. Ancora gli appellanti ritengono erronea la sentenza di primo grado nella parte in cui avrebbe ritenuto sussistente l’interesse pubblico all’annullamento d’ufficio del permesso di costruire nonostante le verifiche dell’ARPA Lazio avessero escluso, in fase di misurazione del campo magnetico, il superamento dell’obiettivo di qualità di 3 microtesla. Inoltre, il vizio di carenza di partecipazione di TERNA sarebbe un vizio formale e l’amministrazione non avrebbe correttamente bilanciato l’interesse pubblico con quello dei privati. 15.1. Le censure sono infondate. In primo luogo, è necessario rilevare come il provvedimento comunale risulti ad una piana lettura ben motivato con riferimento alla prevalenza dell’interesse pubblico alla salvaguardia della salute pubblica e della pubblica incolumità. In relazione all’asserito non corretto bilanciamento degli interessi, appare altresì evidente la prevalenza dei richiamati interessi pubblici rispetto a quello privato di cui sono portatori gli appellanti, trattandosi di un fabbricato da adibirsi al pubblico e da realizzare nella fascia di risetto dell’elettrodotto. L'Amministrazione ha fatto espresso riferimento all’esigenza di garantire il rispetto della disciplina urbanistica e alla pericolosità derivante dalla presenza di linee elettriche ad alta tensione, anche in relazione alla destinazione commerciale del manufatto in questione, con prevedibile elevato flusso di utenti sicché non si ravvisano i vizi rubricati: ha infatti ritenuto prevalente “il primario diritto alla salute e alla sicurezza pubblica” rispetto alla “natura commerciale dell’attività che i Sig.ri intendono svolgere all’interno dell’erigendo immobile”. 

Gse, incentivi impianti fotovoltaici, accolte le ns. tesi: va annullato il provvedimento di diniego di incentivi per artato frazionamento degli impianti (Consiglio di Stato, sent. n. 6177/2024)

Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre tesi a difesa di due società che hanno realizzato due impianti fotovoltaici diversi, ha impugnato il provvedimento del Gse che negato gli incentivi assumendo sussistere un artato frazionamento tra i due impianti.

Leggasi testualmente: "Il profilo con il quale si contesta la ricorrenza degli elementi indicativi dell’artato frazionamento nelle iniziative delle appellanti, e la conseguente erroneità della decisione appellata, è fondato. 10.1. Occorre premettere che, secondo l'art. 5 comma 2 del d.m. 23.6.2016 "Fermo restando l'articolo 29, ai fini della determinazione della potenza dell'impianto, ivi incluso il valore di soglia di cui al 11 comma 1, si considera quanto segue: a) la potenza di un impianto è costituita dalla somma delle potenze degli impianti, alimentati dalla stessa fonte, a monte di un unico punto di connessione alla rete elettrica; per gli impianti idroelettrici si considera unico impianto l'impianto realizzato a seguito di specifica concessione di derivazione d'acqua, a prescindere dalla condivisione con altri impianti dello stesso punto di connessione; b) più impianti alimentati dalla stessa fonte, nella disponibilità del medesimo produttore o riconducibili, a livello societario, a un unico produttore e localizzati nella medesima particella catastale o su particelle catastali contigue si intendono come unico impianto, di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti". Quindi, al fine di integrare la fattispecie sub "b" devono ricorrere entrambi i presupposti, soggettivo e oggettivo. 10.2. GSE s.p.a., nel dare attuazione al suddetto articolo, ha provveduto a definire la nozione di "unico produttore a livello societario" stabilendo che: "Ai fini dell'applicazione di quanto disposto dall'articolo 5, comma 2, del Decreto: - si intendono soggetti riconducibili ad unico Soggetto Responsabile le persone giuridiche collegate, controllanti e/o controllate, ai sensi dell'articolo 2359 c.c., nonché le persone giuridiche che esercitano attività di direzione e coordinamento, ai sensi dell'articolo 2497 c.c., o nei confronti delle quali sia ravvisabile, dall'analisi degli elementi oggettivi e soggettivi, un sostanziale collegamento societario; - si definiscono contigue le particelle catastali fisicamente confinanti o separate da strade, altre infrastrutture lineari o corsi d'acqua. Non sono da considerarsi le particelle catastali interessate esclusivamente dai cavidotti" (cfr. pag. 21 delle Procedure Applicative). 10.3. A sua volta, l'art. 29, comma 1, del decreto prevede poi che il GSE, nell'applicare le disposizioni di cui all'art. 5, comma 2, verifica la sussistenza di elementi indicativi di un artato frazionamento della potenza degli impianti, che costituisce violazione del criterio dell'equa remunerazione degli investimenti secondo cui gli incentivi decrescono con l'aumentare delle dimensioni degli impianti. In tale ambito, il GSE può valutare anche, come possibile elemento indicativo di un artato frazionamento, l'unicità del nodo di raccolta dell'energia prodotta da impianti riconducibili a un medesimo soggetto, identificando tale nodo con la stazione di raccolta MT/AT per connessioni in alta tensione ovvero con la stessa cabina o linea MT nel caso di connessioni in media tensione. 10.4. L'odierna appellante contesta la sussistenza di entrambi i presupposti, soggettivo ed oggettivo. Ed effettivamente il ricorso risulta fondato con riferimento al secondo aspetto. 10.5. Questa Sezione, con decisione del 25/11/2022 n.10404, ha avuto occasione di affermare che: <L'art. 2 del d.m. 23 giugno 2016 stabilisce che "l'impianto alimentato da fonti rinnovabili è l'insieme delle opere e delle apparecchiature, funzionalmente interconnesse, destinate alla conversione dell'energia rinnovabile in energia elettrica" e comprende, tra l'altro, "i gruppi di generazione dell'energia elettrica, i servizi ausiliari di impianto, i trasformatori posti a monte del o dei punti di connessione alla rete elettrica, nonché i misuratori dell'energia elettrica funzionali alla quantificazione degli incentivi". La norma definisce quindi l'impianto elencando una serie di componenti posti a monte del o dei punti di connessione alla rete elettrica, il che lascia intendere che il punto di connessione non vada considerato parte integrante dell'impianto. L'art. 1, co. 1, lett. ee), Tica (Testo integrato delle connessioni attive, di cui all'all. A alla delib. Aeeg ARG/elt/ 99/08) a sua volta definisce il "punto di connessione" (o "punto di consegna") come "il confine fisico tra la rete di distribuzione o la rete di trasmissione e la porzione di impianto per la connessione la cui realizzazione, gestione, esercizio e manutenzione rimangono di competenza del richiedente, attraverso cui avviene lo scambio fisico dell'energia elettrica. [...]". Il Tica scinde la nozione di "impianto" in due fattispecie: i) "impianto di produzione" (art. 1.1, lett. o), definito come "l'insieme delle apparecchiature destinate alla conversione dell'energia fornita da una qualsiasi fonte di energia primaria in energia elettrica" e che "comprende l'edificio o gli edifici relativi a detto complesso di attività e l'insieme, funzionalmente interconnesso: - delle opere e dei macchinari che consentono la produzione di energia elettrica e - dei gruppi di generazione dell'energia elettrica, dei servizi ausiliari di impianto e dei trasformatori posti a monte del/dei punto/punti di connessione alla rete con obbligo di connessione di terzi" , ii) "impianto per la connessione" (art. 1.1, lett. p), che è "l'insieme degli impianti realizzati a partire dal punto di inserimento sulla rete esistente, necessari per la connessione alla rete di un impianto di produzione", costituito da due sottoimpianti denominati: - "impianto di rete per la connessione" (art. 1.1, lett. q): "porzione di impianto per la connessione di competenza del gestore di rete, compresa tra il punto di inserimento sulla rete esistente e il punto di connessione"; - "impianto di utenza per la connessione" (art. 1.1, lett. r): "porzione di impianto per la connessione la cui realizzazione, gestione, esercizio e manutenzione rimangono di competenza del richiedente", a sua volta scindibile in due porzioni: "una parte interna al confine di proprietà dell'utente a cui è asservita la connessione fino al medesimo confine di proprietà o al punto di connessione qualora interno al predetto confine di proprietà" o "una parte compresa tra il  confine di proprietà dell'utente a cui è asservita la connessione e il punto di connessione. Nel caso in cui il punto di connessione è interno al confine di proprietà, tale parte non è presente". Nelle definizioni Tica torna quindi la indicazione del confine fisico dell'impianto, individuato nel "punto di connessione" ("impianto di produzione" è l'insieme delle apparecchiature ........a monte del/dei punto/punti di connessione alla rete; "impianto di utenza per la connessione" è porzione di impianto ...... fino al ....... punto di connessione). Tale disposizione, ove la definizione di impianto di utenza è riferita alla porzione di impianto "fino al punto di connessione", che quindi sembrerebbe essere di competenza del gestore di rete, pare coerente con la richiamata definizione di cui all'art. 2 del d.m. 23 giugno 2016, che, come visto, definisce l'impianto elencandone i componenti posti a monte del o dei punti di connessione alla rete elettrica. Dunque, sembra che plurimi elementi inducano a ritenere che, essendo parte dell'impianto tutto quello che sta a monte dei punti di connessione, questi ultimi vadano esclusi da tale definizione, quanto meno ai fini della rigorosa applicazione dei principi relativi alla concessione dei benefici per cui è causa ed in particolare ai fini del calcolo delle potenze di impianti posti sulle medesime particelle o particelle contigue. 12.2. Peraltro, come rimarcato dall'appellante, l'ubicazione dei punti di connessione è determinata in modo unilaterale dal gestore di rete il quale individua l'area in cui collocarli sulla base di ragioni di ottimizzazione del sistema elettrico. Tale rilievo è stato esaminato dal T.A.R. il quale però ha ritenuto che a sua volta il gestore di rete sia condizionato dalla libera scelta dei produttori circa l'ubicazione dell'impianto. Ciò è indubbio, ma tale constatazione non appare decisiva al fine di individuare una situazione di unicità di impianto, posto che il gestore può raggruppare più punti terminali di differenti impianti (facenti capo a soggetti del tutto distinti) sol perché ubicati in particelle diverse ma contigue, il che non consente certo poi di unificare virtualmente le iniziative imprenditoriali.>. Inoltre < Se….. i richiedenti sono tenuti a segnalare alla Società l'eventuale esistenza di altri soggetti con i quali sia possibile condividere porzioni di impianto di rete per la connessione, non può poi farsene derivare la conseguenza che, ove Edistribuzione imponga (per proprie esigenze tecniche) allacciamenti comuni, gli impianti possano essere considerati unici. > 10.6. Alla stregua dei richiamati, condivisibili, principi, si evince la fondatezza dei rilievi delle appellanti, tanto più che dal mero esame del doc. 19 prodotto da GSE nel fascicolo di primo grado (planimetria) si evince che la part.lla 328 del fg 51 ove è ubicato l’impianto di omissis non è contigua alla particella di pertinenza dell'altra società. 10.7. Il ricorso è quindi fondato perché risulta insussistente l'elemento oggettivo richiesto dalla richiamata normativa. 10.8. Posto che la nozione di unicità del sito si identifica nell'identità dell'area territoriale di installazione degli impianti, venendo integrata qualora due o più impianti siano tra loro prossimi e, dunque, siano concepibili come parti di un progetto unitario, teso al perseguimento del medesimo scopo concreto, presupposto che può riscontrarsi a fronte di impianti ubicati nella stessa particella ovvero in presenza di particelle catastali contigue (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 12 ottobre 2022, n. 8718 e sez. II, 12 aprile 2022, n. 2747), nel caso in questione deve escludersi l'integrazione della fattispecie in quanto i due impianti sussistono in due particelle non contigue; non rileva l’eventuale sussistenza nella stessa particella del punto di connessione che, quanto meno ai fini del riconoscimento dei benefici in questione, non può essere considerato come parte integrante dell'impianto del privato e d’altra parte l’unicità del nodo di raccolta e della Linea MT sono riconducibili al gestore e non alle imprese. 10.9. Nemmeno le coincidenze di date relative alla fase burocratica e costruttiva paiono decisive al fine di desumerne la fattispecie di artato frazionamento. Infatti, come chiarito con la decisione n.10404/22 sopra citata, <è plausibile che professionisti, i quali in un piccolo centro verosimilmente curano molteplici pratiche similari, si organizzino per assolvere gli adempimenti burocratici nelle medesime giornate. Le date riferite all'esecuzione dei lavori ed all'avvio della gestione rimangono, poi, condizionate sia da professionisti ed imprese incaricati, che logicamente cercano di far convergere gli adempimenti relativi ad incarichi in aree limitrofe, in modo da massimizzare il guadagno, sia da E-distribuzione, che impone il proprio "calendario", al quale è finalizzata l'organizzazione dell'impresa costruttrice>. 11. Assorbiti ulteriori profili, al cui esame la parte non mantiene alcun interesse, l'appello deve quindi essere accolto, con il conseguente accoglimento, in riforma della decisione appellata, dei ricorsi in primo grado e, per l'effetto, l'annullamento degli atti ivi impugnati.

Impianti eolici, accolte le ns. tesi: è illegittimo il diniego di autorizzazione unica (PAUR) per omesso esame delle osservazioni ex art. 10 bis L. 241/90 (Tar Molise, sent. n. 325/2024)

Una società costruttrice di impianti eolici ha ricevuto, da parte della Regione Basilicata, il diniego di autorizzazione unica (PAUR) per la realizzazione di un impianto eolico e lo ha impugnato dinanzi al Tar, il quale, in accoglimento delle ns. difese lo ha annullato.

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Vice Sovrintendente Polizia di Stato: va annullato il bando di concorso per non aver previsto il riallineamento virtuale dell’anzianità dei candidati promossi per merito straordinario in base alla sentenza Corte cost. n. 224/2020 (Tar Lazio 9367/2024)

Il Tar Lazio, in accoglimento delle nostre difese a difesa di un Vice Sovrintendente della Polizia di Stato, ha annullato il bando di concorso interno per l’accesso alla qualifica di vice sovrintendente della Polizia di Stato, i cui vincitori sono stati nominati nella qualifica con decorrenza giuridica dal 1° gennaio 2005, in applicazione dell’art. 24-quater, d.p.r. n. 335/1982, secondo cui i vincitori di tali procedure «vengono nominati con decorrenza giuridica dal 1 gennaio dell'anno successivo a quello nel N. 02613/2021 REG.RIC. quale si sono verificate le vacanze [in organico coperte con la procedura concorsuale]»

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Project financing, accolte le ns. tesi: è legittima la revoca dell'aggiudicazione definitiva per errata indicazione del valore della concessione ex art. 167 d.lgs. 50/2016 (Cons. Stato n. 1502/2024)

Il Consiglio di Stato ha respinto dell'appello del promotore a cui era stata revocata dal Comune, da noi difeso l'aggiudicazione definitiva di un project financing e la delibera originaria che approvava il progetto e ne dichiarava la fattibilità ed il pubblico interesse, accogliendo le ns. tesi.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato: "Nel merito, per il Comune l’aggiudicazione definitiva della procedura di gara non attribuiva all'appellane alcun diritto perfetto alla stipulazione del contratto di concessione, bensì solo un’aspettativa qualificata, che come tale ben poteva essere travolta da una sopravvenuta determinazione dell’Amministrazione di revocare in toto la procedura di gara, a seguito della revoca della pregressa dichiarazione di pubblico interesse del progetto.

Le motivazioni di tale revoca consistono nell’illegittima fissazione da parte del promotore di tariffe per i servizi cimiteriali in violazione dell’articolo 20 del Regolamento di polizia mortuaria del Comune, nell’insostenibilità del PEF, nell’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. 50/2016 e nell’illegittimità dell’art. 21, commi 7 e 8, della bozza di convenzione redatta dal promotore nella parte in cui trasferisce al concedente comunei il rischio della mancata vendita dei loculi realizzati e rimasti invenduti, snaturando completamente, a parere del Comune, l’istituto del project e della concessione con il venir meno del c.d. “rischio operativo” in capo al concessionario, prevedendo a fine concessione un rinnovo di cinque anni in caso di opere invendute e, alla nuova scadenza, l’obbligo di riacquisto da parte del Comune dei loculi e delle cappelle invendute, in violazione dell’art. 2, comma 3 del disciplinare di gara e dell’art. 3, comma 1, lett. zz) del d.lgs. 50/2016. Tale clausola sarebbe, a parere del Comune, in netto contrasto con l’originaria delibera di approvazione della proposta di project (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), nella quale si dava atto dell’approvazione “….senza oneri finanziari diretti o riflessi a carico del bilancio comunale”.

La revoca di tutti gli atti di gara, dunque, sarebbe un atto dovuto, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata. Inoltre, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva a suo insindacabile giudizio, con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara).

Nel merito, l’appello è infondato. Con riferimento alle prime due censure dedotte, con cui l'appellante impugna la sentenza nella parte in cui ha ritenuto indennizzabili, ai sensi dell’art. 21 -quinquies l. n. 241/90, le sole spese vive sostenute a partire dall’atto di aggiudicazione sino alla revoca, senza comprendere le spese sostenute per la progettazione, contestando, altresì, la sussistenza di una propria condotta colpevole e, di conseguenza, chiedendo la corresponsione di un indennizzo integrale e non ridotto, deve, evidenziarsi come la sentenza abbia, invece, correttamente applicato la normativa in materia e, pertanto, nessun indennizzo spetta all’appellante ex art. 21 quinquies l. n. 241/90, atteso che, come statuito da questo Consiglio in una fattispecie speculare alla presente, in cui il motivo della revoca dell’aggiudicazione definitiva e dell’intera gara coincideva con uno dei tanti motivi della revoca posta in essere nella fattispecie in questione, e cioè nell’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. n. 50/16, nella disciplina del project financing l’obbligo di indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241/90 risulta cedevole rispetto alla testuale disciplina differenziata dettata dall’art. 183, commi 12 e 15, del d.lgs. n. 50/2016, il quale riconosce al promotore il diritto all’indennizzo delle spese sostenute per la procedura solo ove il promotore non risulti aggiudicatario della gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7930).

 Inoltre, come risulta anche dalla determinazione di revoca dell’aggiudicazione, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara). Anche i motivi dal terzo al sesto, che si trattano unitariamente in ragione della stretta connessione fra gli stessi, sono infondati. Con gli stessi l’appellante ha dedotto, sostanzialmente, l’elusione del precedente giudicato per asserito mancato “riassetto conservativo” della procedura, la nullità ex art. 21 septies l. n. 241/90 della delibera di giunta di revoca della fattibilità della proposta ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241/90, nonché l’insussistenza delle ragioni della revoca.

Deve osservarsi, in proposito, che il potere di revoca di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 può contemplare tre presupposti fra loro alternativi: i sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il mutamento della situazione di fatto, e la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi). In particolare, nel caso di specie l’Amministrazione ha esercitato il potere di revoca sulla base del terzo presupposto, di natura squisitamente discrezionale e di particolare ampiezza, esercitabile in forza di una nuova e diversa valutazione dell'interesse pubblico. Ed invero, per il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, è ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento di revoca che si fonda su “una nuova valutazione dell'interesse pubblico in virtù dell'ampia discrezionalità di cui gode l'Amministrazione nell'esercizio dello ius poenitendi” (cfr. Cons. Stato, V, 24 agosto 2023, n. 7927). Nel caso di specie, i provvedimenti di revoca oggetto di impugnazione, hanno indicato dettagliatamente e in maniera approfondita le ragioni sia di fatto che giuridiche a sostegno delle determinazioni di revoca della dichiarazione di interesse pubblico e della successiva aggiudicazione, nonché esaminato e confutato specificamente le argomentazioni esposte in sede procedimentale dall’appellante.

Ed invero, il Comune ha rilevato, quali ragioni della revoca: 1) l’illegittima fissazione da parte dell'appellante di tariffe per i servizi cimiteriali in violazione dell’articolo 20 del regolamento di polizia mortuaria del comune; 2) l’insostenibilità del PEF; 3) l’errata indicazione negli atti di gara del valore della concessione in violazione dell’art. 167 d.lgs. n. 50/2016; 4) l’illegittimità dell’art. 21, commi 7 e 8, della bozza di convenzione redatta dal promotore nella parte in cui trasferisce al concedente comune il rischio della mancata vendita dei loculi realizzati e rimasti invenduti, snaturando completamente l’istituto del project financing e della concessione con il venir meno del c.d. “rischio operativo” in capo al concessionario mediante la previsione a fine concessione di un rinnovo di cinque anni in caso di opere invendute e, alla nuova scadenza, dell’obbligo di riacquisto da parte del Comune dei loculi e delle cappelle invendute, in violazione dell’art. 2, comma 3, del disciplinare di gara e dell’art. 3, comma 1, lett. zz), del d.lgs. n. 50/2016. In particolare, come legittimamente ritenuto dal Comune, tale ultima clausola è in netto contrasto con l’originaria delibera di approvazione della proposta di project (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), nella quale si dava atto dell’approvazione “….senza oneri finanziari diretti o riflessi a carico del bilancio comunale”. In presenza di tali ragioni, la revoca è da ritenersi esercitata del tutto legittimamente, anzi deve ritenersi un atto dovuto, come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata. Inoltre, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dall’appellante, avevano previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva a suo insindacabile giudizio, con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione (cfr., in particolare, l’art. 27 del disciplinare di gara). Né, in presenza di tali motivazioni, l’amministrazione avrebbe potuto modificare le condizioni dell’operazione di partenariato, mediante il riequilibrio del PEF, come risulta dalla delibera impugnata, che si intende integralmente richiamata, e che richiama a sua volta, per relationem, la nota del Rup del 31 gennaio 2023 di riscontro alle osservazioni del promotore, che costituisce parte integrante della stessa delibera di giunta, alla luce della quale non può di certo sostenersi che il Comune abbia omesso di valutare la possibilità di un “riassetto conservativo” del progetto, come correttamente statuito dalla sentenza appellata.

Inoltre, non può in alcun modo sostenersi che la durata della procedura sia imputabile al Comune, e che, di conseguenza, sia sorto un legittimo affidamento alla positiva conclusione della stessa in capo all’appellante, atteso che era noto all’appellante medesimo che la necessità della variante urbanistica al PRG è emersa in conseguenza dell’erronea indicazione nel progetto del promotore della destinazione urbanistica delle aree da destinare all’ampliamento del cimitero, come si evince dall’estratto del PEF presentato dall’appellante (versato in atti). Ed invero, essendo emerso dall’esame del progetto indicato dal promotore che lo stesso ricadeva su aree con destinazione urbanistica incompatibile con la realizzazione del cimitero, il Comune ha dovuto presentare una variante al PRG che ha richiesto tempi lunghi per l’approvazione da parte della Regione e, nelle more dell’approvazione della variante urbanistica al PRG, le intervenute necessità sorte durante il periodo covid di tumulare molte persone e, pertanto, di realizzare blocchi di prefabbricati sulle aree di completamento del cimitero, hanno svuotato di contenuto il progetto, con incontestabile mutamento dell’oggetto della proposta.

Con riferimento, infine, alla porzione di appello (motivi VII, VIII e IX) dichiarata inammissibile per superamento dei limiti dimensionali in accoglimento dell’eccezione del Comune, la stessa era, comunque, infondata, atteso che la giunta comunale era certamente competente a revocare la delibera di dichiarazione di pubblico interesse della proposta originaria, sia per il principio del contrarius actus, avendo adottato la dichiarazione di pubblico interesse medesima, sia per le previsioni dell’art. 48, comma 2, del TUEL sulla competenza residuale, per le quali la giunta compie tutti gli atti rientranti ai sensi dell'articolo 107, commi 1 e 2, nelle funzioni degli organi di governo che non siano riservati dalla legge al consiglio e che non ricadano nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o del presidente della provincia o degli organi di decentramento. Riguardo al rischio operativo si rinvia alle precedenti considerazioni, ribadendo che la revoca è del tutto legittima in quanto nessun onere finanziario diretto o indiretto doveva essere previsto a carico del bilancio comunale (cfr. delibera di G.C. n. 306/2017), dovendosi il concessionario assumere il rischio operativo, come in ogni operazione di partenariato pubblico-privato. In relazione, infine, all’ammontare delle tariffe, sono perfettamente condivisibili le statuizioni della sentenza appellata, secondo cui: “La previsione da parte del promotore di tariffe, per l’acquisto della concessione sui loculi, di importo ben maggiore rispetto a quelle stabilite dal vigente Regolamento di polizia mortuaria, integra una valida ragione di legittimità della revoca, in quanto tariffe così elevate, e pertanto lesive degli interessi della comunità, sono state unilateralmente indicate dalla ricorrente senza copertura normativa e procedimentale. 

Licenza noleggio con conducente: è legittima la revoca della licenza per assenza della rimessa nel territorio comunale (Tar Lazio, 2951/2024)

Il Tar Lazio, in accoglimento delle nostre difese a difesa di un Comune, ha respinto il ricorso del titolare di una licenza di noleggio con conducente con le seguenti motivazioni:

Il ricorso è infondato e va respinto, in conformità a decisioni precedenti della Sezione in ordine a recenti fattispecie sovrapponibili a quella all’odierno esame del Collegio, nei confronti dello stesso Comune (sentenze del 2 gennaio 2024, nn. 19, 61 e 64 che ha richiamato la difesa dell’Ente). Deve preliminarmente rilevare il Collegio che non è provata la cessione della licenza del sig. ..alla società cooperativa: nel ricorso si fa riferimento ad un documento non è compreso tra i documenti prodotti (come risultano nel SIGA).

Ne deriva l’infondatezza – per difetto di prova - delle censure inerenti l’iscrizione alla camera di commercio del ricorrente (che quest’ultimo riteneva circostanza irrilevante stante l’avvenuto conferimento del titolo alla società), come pure di ogni profilo collegato alla localizzazione della sede della rimessa come riferita o riferibile alla sede operativa della predetta società. Ne deriverebbe anche l’inammissibilità del ricorso quanto alla posizione della società, che il Collegio comunque può esimersi dal dover affrontare in ragione – come accennato – dell’infondatezza nel merito delle censure.

Quanto a queste ultime, è infondato il primo articolato motivo quanto alle censure procedimentali, non solo perché il ricorrente non ha offerto la prova di un possibile diverso esito del procedimento, ma anche perché non sussiste in radice alcun impedimento a che un procedimento avviato sulla base di una contestazione specifica venga poi concluso, a seguito e per l’effetto del contenuto delle memorie procedimentali, con una motivazione più ampia, quando quest’ultima scaturisca proprio dal riscontro delle circostanze offerte in comunicazione da parte dell’interessato: in tutta evidenza, si tratta del fisiologico decorso del contraddittorio procedimentale che esclude la necessità di dover sempre riavviare quest’ultimo dopo l’emersione di nuovi presupposti istruttori.

Rimane insuperata poi la circostanza inerente l’inattendibilità della indicazione della rimessa nel locale sito in Via dei .. (laddove è risultato presente un adesivo plastificato riportante la dicitura ..., che come si è indicato non è provato sia la titolare attuale della licenza) e rimane privo di censura il fatto che il locale sia censito al NCEU del Comune di ....al Foglio  e pertanto non idoneo allo stazionamento di veicoli con particolare riguardo all’attività produttiva da svolgere.

Deve poi scrutinarsi l’ulteriore profilo dedotto nel corpo del primo motivo, secondo il quale non sarebbe stata rispettata la scansione procedimentale di cui all’art. 26 del Regolamento del Comune resistente (prodotto in giudizio in allegato al ricorso): si tratta di argomenti privi di fondamento, perché la norma regolamentare applicata dal provvedimento impugnato è l’art. 27, che disciplina la revoca collegandola ad una serie di presupposti tra i quali la sopravvenuta mancanza “nel titolare di uno dei requisiti prescritti per l’effettuazione del servizio”, come accade nel caso di specie (dove si discute dell’accertata inesistenza della rimessa e del veicolo); laddove l’art. 26 è relativo alla sospensione dalla licenza che viene disposta a titolo di sanzione per casi di inosservanza delle disposizioni del regolamento a seguito di ammonimento, ingiustificato rifiuto a prestare servizio e così via (tutte fattispecie che non elidono la permanenza del rapporto ampliativo tra il titolare della licenza e l’Ente locale, ma sono riferite soltanto a vicende transitorie e rimuovibili, tanto che il massimo grado della sanzione applicabile è solo la sospensione per un mese).

Per ogni altro aspetto, è sufficiente al Collegio rimandare alle motivazioni dei precedenti richiamati ed alla sentenza del Consiglio di Stato n.1703 dell’1.3.21 che ribadisce, in conformità ai precedenti ivi menzionati, che “il mancato utilizzo della rimessa indicata in licenza (prevista dall’art. 8, comma 3, della legge-quadro n. 21 del 1992 alla cui stregua “per poter conseguire e mantenere l’autorizzazione per il servizio di noleggio con conducente è obbligatoria la disponibilità, in base a valido titolo giuridico, di una sede, di una rimessa o di un pontile di attracco situati nel territorio del comune che ha rilasciato l’autorizzazione”) è sintomatico della violazione del c.d. “vincolo di territorialità” (ovvero del collegamento tra il titolare della licenza di N.C.C. e una determinata popolazione), concernente una funzione essenziale di un servizio con connotazione locale, e, per la sua radicalità protratta nel tempo …legittima la sanzione della revoca dell’autorizzazione”.

Tale decisione, e gli orientamenti in essa richiamati, consentono al Collegio di limitarsi a ribadire l’attualità dei presupposti normativi per il mantenimento della licenza NCC, il rinnovo della quale i provvedimenti in epigrafe hanno quindi correttamente negato.

Deve solo precisarsi che, quanto ai presupposti in fatto dai quali è dipeso il diniego, gli indicatori assunti a mancato riscontro dell’utilizzo (anche potenziale) dell’autorimessa (mancanza di passo sia carrabile che pedonale; mancanza di cartellonistica o comunque di insegne e così via) sono ragionevoli e sufficienti, non adeguatamente contraddetti dalle difese della parte ricorrente; è dirimente ai fini di causa la mancanza di iscrizione del ricorrente alla CCIIAA. Le altre doglianze, con le quali si fa valere una pretesa sproporzione del provvedimento o la violazione del termine ragionevole per la revoca della licenza, sono recessive in quanto il procedimento era rivolto al rinnovo del titolo e dunque postulava la verifica ed attualizzazione dei presupposti oggettivi e soggettivi e resta impregiudicata, da parte dell’odierna parte ricorrente, la possibilità di richiedere nuovamente l’emissione della licenza. Conclusivamente, il ricorso è infondato e va respinto, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite che si liquidano come in dispositivo.

Riscossione tributi, accolte le ns. tesi: spetta alla Corte dei Conti la controversia sui rapporti dare/avere tra il Comune e la concessionaria del servizio, stante la qualifica di agente contabile di quest'ultima (Corte di Appello Roma, 317/2024)

La Corte di appello di Roma, in accoglimento delle nostre tesi a difesa di un Comune in una controversia azionata dalla società concessionaria del servizio di riscossione tributi e della T.I.A., si è così pronunciata.

Leggasi testualmente: "Rientrano nella giurisdizione della Corte dei Conti in quanto attengono al rapporto dare-avere tra le parti relativo alla gestione del servizio di riscos-sione della TIA le domande proposte dalla concessionaria e sopra indicate sub (iii), (iv), (v), (viii) e (ix), nonché quelle proposte sempre dalla concessionaria e relative alle spese sostenute per l'attività di recupero dell'evasione e di ac-certamento dell'elusione tariffaria, e segnatamente per essersi la concessionaria avvalsa della ... s.r.l.

Del pari, rientrano nella giurisdizione della Corte dei Conti le domande proposte, in via riconvenzionale, dal Comune..

In altri termini, rientrano nella giurisdizione della Corte dei Conti tutte le domande proposte dalle parti e relative al servizio di riscossione della TIA, che è stato dato in concessione alla società con il contratto in data 9.4.2010.

Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Suprema Corte, “la società con-cessionaria del servizio di riscossione delle imposte, in quanto incaricata, in virtù di una concessione contratto, di riscuotere denaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici, del quale la stessa ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento, riveste la qualifica di agente contabile, ed ogni controversia tra essa e l'ente impositore, che abbia ad oggetto la verifica dei rapporti di dare e avere e il risultato finale di tali rapporti, dà luogo ad un "giudizio di conto".

Ne consegue che, allorquando, tale società, cessato il rapporto concessorio, chiede la spettanza delle somme riscosse, la domanda è devoluta alla giurisdizione contenziosa della Corte dei conti, es-sendo questa l'autorità giurisdizionale deputata - in base alle norme del R.D. n. 1214 del 1934, artt. 13 e 44, ed alle successive di cui al D.P.R. n. 603 del 1973 ed al D.P.R. n. 858 del 1963, le quali non risultano abrogate dalla L. n. 657 del 1986 e dal successivo D.P.R. n. 43 del 1988 - alla verifica dei rapporti di dare ed avere ed avere tra esattore delle imposte ed ente impo-sitore e del risultato contabile finale di detti rapporti (Cass. Sez. Un. 16.11.2016 n. 23302; id. n. 8589 del 29.5.2003; n. 237 del 10.04.1999 e, di recente, con ampi richiami alla giurisprudenza precedente, Cass. Sez. 14 Un. 18.06.2018 n. 16014 e Cass. Sez. Un. 28.2.2020 n. 5”. (così Cass. civ., SS.UU., 12.1.2022, n. 760; cfr., nello stesso senso, Cass. civ., SS.UU., 18.6.2018, n. 16014).

Antenne televisive, accolte le ns. tesi: per l'installazione di antenne televisive, anche se anteriori al 2001, occorre sempre il permesso di costruire in base all'art. 1 L.10/77 (Cons. Stato 706/2024)

Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle ns. tesi a difesa di un Comune, ha respinto l'appello delle emittenti televisive che avevano installato abusivamente torri e antenne televisive.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato: "Le opere oggetto dell’ordine di demolizione risultano abusive considerato che sono prive del titolo abilitativo edilizio e ricadono in zona sottoposta a plurimi vincoli rispetto ai quali i manufatti non sono assistiti dai relativi titoli abilitativi. 4. Non appare rilevante la circostanza per cui l’antenna e il manufatto siano stati realizzati in epoca anteriore al 2001. N. 01346/2021 REG.RIC. Osserva il Collegio che anche anteriormente alla previsione legislativa di cui all’art. 3, co. 1, lett. e), del D.P.R. n. 380/2001 (che include tra gli interventi di nuova costruzione che necessitano di permesso di costruire "l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione"), la giurisprudenza amministrativa aveva affermato che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 10/1977, è soggetta al rilascio della concessione edilizia “ogni attività che comporti la trasformazione del territorio attraverso l’esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l’alterazione abbiano un qualche rilievo ambientale ed estetico, od anche solo funzionale” (Cons. St., sez. V, 4 aprile 1998, n. 415, ove si è ritenuto necessario il titolo abilitativo edilizio con riferimento ad antenna alta circa 8 mt, saldamente ancorata al suolo e visibile dai luoghi circostanti; cfr. anche, per la ricostruzione del quadro giurisprudenziale, Cons. St., sez. VI, 20 agosto 2019, n. 5756 e Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2004, n. 3193). 5. Soprattutto, nel caso di specie non è oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante la circostanza, evidenziata dal Tar, circa la preesistenza sulla zona anche dei vincoli paesaggistico e sismico e tanto appare decisivo al fine del rigetto dell’appello posto che il provvedimento di demolizione nella propria motivazione fa riferimento anche alla presenza di tali vincoli e all’assenza, per i manufatti in questione, dei relativi atti di assenso.

Università, concorso ricercatore con fondi PNRR, accolte le ns. tesi: un portfolio di progetti allegato al curriculum di un architetto è legittimo perché ha una funzione illustrativa. (Tar Lazio, sent. 17035/2023)

Il Tar Lazio ha respinto il ricorso di un concorrente che ha impugnato la graduatoria e la nomina del vincitore della procedura per il reclutamento di Ricercatori con contratto a tempo determinato di tipologia A” della Sapienza- Università di Roma che è stato difeso dal nostro studio, dichiarando irricevibile il ricorso per tardività del ricorso e parzialmente anche dei motivi aggiunti, respingendo nel merito le altre censure dei motivi aggiunti.

Leggasi testualmente nella sentenza del Tar: "Ritenuto che: -il richiamato ricorso principale è irricevibile; -il ricorso, secondo quanto emerge dagli atti, concerne una procedura amministrativa avente a oggetto interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR.

-al giudizio si applica quindi il rito ex art. 12-bis del D.L. 68/2022, riguardante accelerazione dei giudizi amministrativi in materia di PNRR, compreso l’art. 119, comma 2, del codice del processo amministrativo, richiamato “in ogni caso” dal citato art. 12-bis, comma 5, e il relativo dimezzamento dei termini di deposito del ricorso, da trenta a quindici giorni; -non può dubitarsi che il termine di deposito sia un termine processuale, incluso fra quelli soggetti ad abbreviazione ai sensi dell’art. 119, comma 2, cit., con espressa esclusione della notifica dei ricorsi di primo grado e delle altre eccezioni previste dalla disposizione citata, nella considerazione che, con il deposito, il ricorrente istaura il rapporto processuale fra le parti e l’Autorità giudiziaria, chiamata a decidere nel processo; -l’inclusione di detto termine è pienamente conforme alla ratio acceleratoria dell’art. 12-bis cit., dato che l’anteriorità del deposito del ricorso ne rende più tempestivo l’esame;

-la tardività del deposito del ricorso principale, intervenuto oltre il termine previsto di quindici giorni, non è suscettibile di consentire la rimessione in termini per errore scusabile, stante la chiarezza del disposto normativo al riguardo (TAR Lazio, Seconda-quater, 7231 del 27 aprile 2023 e giurisprudenza ivi richiamata) e la circostanza che il ricorrente sovrappone, nella sua istanza di rimessione in termini contenuta nella replica del 27 ottobre 2023, l’irricevibilità per tardività del deposito, oltre il termine previsto, alla diversa questione della tempestiva proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti (cfr. art. 35 co. 1 lettera a del codice del processo amministrativo); Ritenuto che: -con atto notificato il 18 e depositato il 25 settembre 2023, come accennato, parte ricorrente ha proposto ricorso per motivi aggiunti, avverso gli atti in epigrafe indicati, deducendo tempestività di questo mezzo processuale in ragione del sopravvenuto deposito in giudizio, in data 21 giugno 2023, di una relazione della commissione giudicatrice e dell’intervenuto riscontro ad un accesso agli atti, in data 11 settembre 2023; -il ricorso per motivi aggiunti è in parte irricevibile, come da avviso ex art. 73 c.p.a. reso all’udienza pubblica del 7 novembre 2023 e in adesione all’espressa eccezione formulata dal controinteressato nella memoria di merito, in quanto parte ricorrente argomenta, tramite la lettura delle controdeduzioni tecniche della commissione depositate in giudizio e l’esito dell’accesso agli atti, l’emergere di nuovi e autonomi vizi degli atti impugnati, il che non è nel merito condivisibile, in particolare perché il ricorrente utilizza l’istituto dei motivi aggiunti per censurare di vizi solo poteticamente nuovi gli atti già gravati con il ricorso principale, a termine di decadenza ex art. 41 c.p.a. già intervenuto; -in particolare, il secondo motivo aggiunto deduce inapplicabilità dell’articolo 3, comma 7, della legge 127/1997, sulla rilevanza nella valutazione concorsuale della minore età del candidato controinteressato, nel senso che si sarebbe appurato, tramite il deposito di detta relazione in giudizio (doc. 18 dell’Università), che la commissione ha inteso attribuire valore premiale alla minore età del candidato ....., rispetto al candidato di pari valore .....i. L’art. 3, comma 7, cit. sarebbe stato a torto applicato dalla commissione, perché a dire del ricorrente sarebbe applicabile solo ai concorsi per titoli e prove di esame, laddove l’art. 24 della legge 240/2010, comma 2, lett. c, prevede, nel testo riportato nell’atto, che “sono esclusi esami scritti e orali” per la procedura de qua; -la descritta tesi è infondata. La relazione, sul punto, afferma: “(La commissione) In questo tipo di esercizio il ricorrente si sostituisce alla commissione e introduce asserzioni interpretative opinabili sulla quantità e la qualità dei titoli. Il master universitario, le borse di studio e gli assegni di ricerca, infatti vengono "contati" dal ricorrente come titoli equipollenti, invece attengono procedure e valori diversi: alcuni sono crediti universitari conseguiti da studente di terzo livello (master, dottorato, borsista... post lauream), altri sono titoli di ricerca post doc. ricorrente non ha conseguito due assegni di ricerca, controinteressato sì. Quindi i confronti non sono fra titoli omogenei. Inoltre: L’articolo 3, comma 7, della legge 127/1997, e s.m. ha disposto che, se due o più candidati ottengono, a conclusione delle operazioni di valutazione dei titoli e delle prove d’esame pari punteggio, sia preferito il candidato più giovane di età”. A prescindere dalla ipotizzata inapplicabilità alla procedura dell’art. 3, comma 7 della legge 127/1997, del tutto impregiudicata, non risulta dai verbali della procedura che sulla valutazione del candidato omissis abbia influito la sua minore età e la censura del ricorrente, proposta in data 18 settembre 2023, è quindi intempestiva, perché basata sull’ipotetica integrazione postuma della motivazione data dalla relazione, contenente controdeduzioni tecniche e depositata in giudizio; -il terzo motivo aggiunto deduce che la citata relazione di controdeduzioni tecniche avrebbe attestato l’illegittima adozione di valori soglia, per la valutazione delle pubblicazioni, derivanti dal D.M. 8 agosto 2018 n. 589, per l’abilitazione scientifica nazionale, ma l’adozione di detti criteri è dipesa dall’art. 5 del bando secondo cui “la commissione, al fine di stabilire i requisiti minimi e nel valutare le pubblicazioni, si avvale anche dei seguenti indicatori autocertificati dai candidati…numero e qualità degli articoli e dei contributi…per il computo degli indicatori sono ammesse le tipologie di prodotti valide per l’ASN in relazione al SC cui la procedura è riferita” (doc.1 dell’Università), sicché la censura proposta il 18 settembre 2023 è intempestiva;

-l’unico motivo aggiunto al quale potrebbe attribuirsi carattere autonomo e tempestivo è il primo, con il quale si deduce che il controinteressato e altri candidati hanno allegato al proprio curriculum vitae un portfolio di progetti, documentati fotograficamente, in asserita violazione della previsione del bando che prevedeva la possibilità, a dire del ricorrente esclusiva, di presentare il cv in formato europeo, secondo lo schema tipo di cui all’allegato b del bando. Tuttavia, in disparte l’eccezione del controinteressato dell’intervenuta piena e completa conoscenza del curriculum sull’albo dell’Università in data 14 marzo 2023, su analoga doglianza si è già pronunciato il Consiglio di Stato, affermando che “Il motivo non è fondato, in quanto, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, il curriculum illustrato, presentato unitamente alla domanda di partecipazione al concorso, può rilevare come illustrazione e documentazione dei titoli già indicati nel curriculum vitae” (Cons. Stato, VI, 5118 del 5 dicembre 2016), motivazione che comporta l’infondatezza, nel merito, del primo motivo aggiunto; -la riferita doglianza è, peraltro, inammissibile per carenza di interesse, perché da sola non implica il superamento della prova di resistenza (TAR Lazio, sez. III-ter, 5 aprile 2023, n. 5765) e, in ogni caso, è ulteriormente infondata perché nessuna norma impediva la presentazione di allegati fotografici al cv dei candidati o, comunque, l’esercizio dell’equipollente possibilità di descrivere e illustrare il merito tecnico degli elaborati progettuali, trattandosi di concorso per ricercatore in “architettura e progetto”;

Project financing, accolte le ns. tesi: è legittima la revoca di un'aggiudicazione definitiva di una concessione per l'ampliamento e gestione del cimitero, in caso di azzeramento del rischio operativo (Tar Campobasso, sent.n. 287/2023)

Il Tar di Campobasso, in accoglimento delle nostre tesi, ha rigettato il ricorso di un Rti promotore aggiudicatario di una procedura di gara per l'ampliamento del cimitero comunale.

Leggasi testualmente nella sentenza del Tar: "3. Principiando ora con l’analisi delle successive censure ordinarie di legittimità della Cosvim, il Collegio ritiene di potersi esimere dal valutare le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune nelle proprie memorie in ragione della infondatezza del ricorso principale e dei motivi aggiunti. 4. Ciò posto, il Collegio ritiene di doversi preliminarmente soffermare sulla propedeutica tematica della qualificazione giuridica dei provvedimenti impugnati quali revoche o annullamenti d’ufficio, sollecitata dalla ricorrente con le doglianze di cui ai paragrafi 6.2. del ricorso principale e 2.2. dei motivi aggiunti. 4.1. Per mezzo di dette doglianze la ricorrente contesta la qualificazione giuridica di “revoca” impressa dall’Amministrazione sui provvedimenti impugnati. A suo dire il Comune, attraverso un’indebita operazione di “ricerca” di possibili elementi di illegittimità dei propri atti precedenti, avrebbe in verità dato luogo, con i provvedimenti impugnati, a una complessiva operazione di annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies della l. n. 241/1990: e questa sarebbe inevitabilmente afflitta da illegittimità per la decorrenza del termine perentorio di 12 mesi dalla adozione degli atti oggetto di siffatto annullamento. 4.2. Sennonché, i provvedimenti impugnati a parere del Collegio sono indubbiamente delle revoche. 4.2.1. La consolidata giurisprudenza in materia, cui questo Tribunale non può che aderire, rileva che il potere di revoca di cui all’art. 21-quinquies della l. n. 241/1990 può contemplare ben tre alternativi presupposti: i sopravvenuti motivi di pubblico interesse, il mutamento della situazione di fatto, e, infine, la nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. ius poenitendi). Tra detti presupposti alternativi, di particolare ampiezza è sicuramente quello corrispondente al c.d. ius poenitendi dell’Amministrazione, esercitabile in forza di una nuova (e diversa) valutazione dell'interesse pubblico originario. Difatti, può essere ritenuto adeguatamente motivato un provvedimento di revoca consistente in “una nuova valutazione dell'interesse pubblico in virtù dell'ampia discrezionalità di cui gode l'Amministrazione nell'esercizio dello ius poenitendi” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927). 4.2.2. Orbene, deve osservarsi che proprio in rapporto all’esercizio dello ius poenitendi l’Amministrazione può ben prendere in considerazione – e a fondamento del proprio agere – anche delle circostanze che possono contemporaneamente presentarsi come “motivo di illegittimità del provvedimento o ragione di inopportunità dello stesso” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7927). Nel novero di simili circostanze rientrano tipicamente quelle produttive di durevoli effetti ex se dannosi per l’interesse pubblico, oltre che discendenti da atti illegittimi. 4.2.3. Non vi è dubbio, dunque, che l’Amministrazione possa esprimersi ex post con una propria valutazione sugli elementi originari del project financing e sulla successiva procedura di gara, in quanto eventuali invalidità delle dette procedure, pur divenute oramai in se stesse “incensurabili” dinanzi al G.A. o mediante l’annullamento d’ufficio, potrebbero continuare a produrre effetti dannosi per la collettività, e giustificare in questo modo il ricorso da parte della P.A. al proprio potere di revoca. 4.2.4. Gli atti impugnati costituiscono dunque degli atti di revoca, e la loro legittimità va verificata alla stregua della sola disciplina propria di tale modello di atto di ritiro. 5. In coerenza con la logica di fondo appena delineata, non può trovare accoglimento l’ulteriore rilievo, addotto dalla ricorrente nelle doglianze congiunte di cui ai paragrafi 6.1.b del ricorso principale e 2.1.b. dei motivi aggiunti, secondo cui l’esercizio del potere di autotutela sarebbe stato in concreto precluso, all’Amministrazione, dall’onere di rinegoziazione del progetto di finanza che sarebbe insorto fra le parti a seguito delle sopravvenienze. 5.1. Per quanto nel caso di specie la ricorrente avesse conseguito anche l’aggiudicazione definitiva della concessione, il Collegio non ritiene che all’Amministrazione fosse inibito il potere d’intervento in autotutela. 5.2. Ciò essenzialmente per due ragioni. 5.2.1. Da un lato, l’Amministrazione detiene un’ampia discrezionalità amministrativa in ordine alla dichiarazione dell’interesse pubblico al progetto, e, quindi, di riflesso, anche ai fini della sua revoca. Il Consiglio di Stato, statuendo proprio sul tema di interesse, ha evidenziato che “l'amministrazione aggiudicatrice non sia tenuta a dare corso alla procedura di gara per l'affidamento della relativa concessione anche in un momento successivo a quello in cui una proposta di realizzazione di lavori pubblici sia stata dichiarata di pubblico interesse e, quindi, sia stato individuato il promotore privato (cfr., oltre ai precedenti su citati, anche Cons. Stato, V, 18 gennaio 2017, n. 207 e da ultimo, Cons. Stato, V, 4 febbraio 2019, n. 820), a maggior ragione siffatta conclusione s'impone quando si tratti di valutare se il progetto proposto abbia i contenuti necessari a soddisfare l'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione in un determinato momento storico. La relativa valutazione, rispondente all'ampia discrezionalità amministrativa di cui si è detto, è perciò sindacabile solo se la scelta infine compiuta dalla pubblica amministrazione si discosti manifestamente dai generali canoni di ragionevolezza, economicità ed efficacia dell'attività amministrativa, senza dimenticare che la presentazione della proposta, pur quando sollecitata dall'amministrazione aggiudicatrice con l'inserimento dell'opera o dei lavori pubblici nella programmazione, fa sorgere in capo al proponente l'interesse pretensivo alla relativa valutazione, alla stregua dei criteri individuati dalla legge e dall'avviso pubblico, non anche quello al riconoscimento della corrispondenza del progetto al pubblico interesse, a maggior ragione quando questa venga impedita da norme od eventi sopravvenuti alla presentazione della proposta o da nuove valutazioni dell'interesse pubblico originario alla stregua della proposta come risultante anche all'esito dell'attività istruttoria svolta in collaborazione con il proponente”(cfr., Cons. Stato, sez. V, 14 novembre 2019, n. 7833). 5.2.2. Dall’altro lato, e pur in presenza anche di un’aggiudicazione definitiva di una commessa pubblica (appalto o concessione che sia), l’ordinamento non riconosce comunque all’aggiudicatario un incondizionato diritto soggettivo alla stipulazione del relativo contratto, coercibile nei confronti dell’Amministrazione: e, conseguentemente, nemmeno un cogente obbligo di rinegoziazione, in presenza di sopravvenienze, in capo alla P.A., che le possa inibire il ricorso all’autotutela. La perduranza della fase pubblicistica, ancorché ridotta dopo l’aggiudicazione, fa infatti sopravvivere il potere di autotutela dell’Amministrazione. La consolidata giurisprudenza amministrativa ha, invero, rilevato che dinanzi alla legittima istanza dell’aggiudicatario in ordine alla stipulazione del contratto, fatta valere davanti al G.A. con l’azione avverso il silenzio ex art. 117 del cod. proc. amm., “vi è un obbligo della Stazione appaltante di determinarsi, esprimendo e comunicando la definitiva volontà di stipulare o meno il contratto in questione e, in caso affermativo, invitando la società alla sottoscrizione dello stesso”: ma tale obbligo giuridico di provvedere “non ha, dunque, ad oggetto la conclusione del contratto — esito questo a cui l'Amministrazione non è vincolata — bensì la determinazione, di natura prettamente autoritativa e come tale equiparabile ad un provvedimento, della volontà di addivenire o meno alla sua stipulazione” (cfr., tra le molte, T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 7 settembre 2022, n. 11610). 5.3. Quanto appena esposto avvia a reiezione anche le connesse censure di legittimità di cui ai paragrafi 2.1.c. e 2.1.d. dei motivi aggiunti con riferimento alla determinazione dirigenziale di revoca dell’aggiudicazione. L’aggiudicazione definitiva della procedura di gara, è il caso di ribadirlo, non attribuiva alla Cosvim alcun diritto perfetto alla stipulazione del contratto di concessione, bensì solo un’aspettativa qualificata, che come tale ben poteva quindi essere travolta da una sopravvenuta determinazione dell’Amministrazione di revocare in toto la procedura di gara, a seguito della revoca della pregressa dichiarazione di pubblico interesse del progetto che ne costituiva presupposto e fondamento.D’altra parte, come rammentato dal Comune nella determinazione di revoca dell’aggiudicazione, lo stesso bando di gara e il disciplinare, accettati dalla ricorrente, avevano “previsto la facoltà dell’Ente di revocare l’aggiudicazione definitiva con espressa rinuncia del concorrente ad ogni pretesa economica in caso di revoca dell’aggiudicazione”. 5.4. Pertanto, per le ragioni sopra esposte, neanche le doglianze di cui ai paragrafi 6.1.b del ricorso principale, 2.1.b., 2.1.c. e 2.1.d. dei motivi aggiunti possono trovare accoglimento. 6. Né tantomeno un tale cogente obbligo di rinegoziazione del progetto potrebbe ricavarsi dai principi generali del risultato, della fiducia e della buona fede e legittimo affidamento introdotti, solo nelle more del giudizio, dal nuovo Codice dei Contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, come invece la ricorrente ha adombrato nelle doglianze congiunte di cui al paragrafo 6.1.c. del ricorso principale. Anche a voler ipoteticamente ritenere, infatti, che detti principi fossero già desumibili dalla normativa vigente al tempo dell’adozione degli atti qui impugnati, gli stessi comunque non sarebbero stati preclusivi dell’esercizio del potere di revoca da parte dell’Amministrazione. Il rapporto nascente dall’aggiudicazione di un contratto è invero pur sempre un rapporto speciale di diritto pubblico, ove la buona fede e il legittimo affidamento devono necessariamente confrontarsi con il principio pubblicistico dell’inesauribilità del potere amministrativo. 7. Richiamata la natura di revoca dei provvedimenti impugnati, il Collegio ritiene di dover ora scrutinare le censure congiunte di incompetenza della Giunta Comunale, e poi del Dirigente del Settore dei Lavori Pubblici-Manutenzioni, ad assumere le revoche per cui è causa.

Appalti servizi digitali, accolte le ns. tesi: l’iscrizione al registro marketplace dei conservatori è requisito di idoneità professionale obbligatorio, mentre l’iscrizione al cloud market place è requisito eventuale (Cons. Stato, 9129/2023)

Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre tesi a difesa di un Rti aggiudicatario della gara di appalto di Estar avente ad oggetto il servizio di conservazione dei documenti informatici delle aziende sanitarie ed ospedaliere della Toscana e dello stesso ente, ha respinto l'appello del secondo classificato.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato: "I punti centrali della controversia riguardano innanzitutto la possibilità che il servizio oggetto di gara potesse essere reso anche senza l’iscrizione del registro Agid cloud marketplace e poi che lo stesso dovesse essere realizzato esclusivamente in modalità cloud (cioè su un hardware remoto). 13. In proposito, va preliminarmente osservato che la procedura di gara in esame aveva ad oggetto l’acquisizione di un servizio di conservazione dati, con i relativi servizi di gestione e manutenzione, per le aziende sanitarie ed ospedaliere della Toscana e per Estar, ente committente. Il servizio doveva garantire la conservazione di documentazione digitale tramite l’adozione di regole, procedure e tecnologie atte a garantirne le caratteristiche di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità. In particolare, la conservazione dei documenti informatici, di quelli sanitari informatici ed dei documenti amministrativi informatici con i metadati ad essi associati, nonché le aggregazioni documentali informatiche (fascicoli) con i metadati ad esse associati contenenti i riferimenti univocamente identificativi dei singoli documenti che costituivano le aggregazioni medesime, nel rispetto di quanto indicato per l’Amministrazione pubblica dall’articolo 67, comma 2, del DPR n. 445 del 2000 e dall’ art. 44, comma 1bis, del d.lgs. n. 82 del 2005 (codice dell’amministrazione digitale – di seguito CAD). 13.1. In sostanza, il soggetto che avrebbe erogato il servizio doveva impegnarsi a garantire la conservazione dei documenti trasferiti ed il rispetto dei requisiti previsti dalle norme in vigore per i sistemi di conservazione, assumendo la totale responsabilità sulla custodia dei dati a partire dal punto di prelievo all’interno delle aziende. 13.2. Le concrete modalità di effettuazione del servizio di conservazione dei dati non necessariamente dovevano far riferimento all’utilizzo di un cloud, potendo la stessa conservazione essere realizzata attraverso anche un server interno dedicato nelle diverse strutture. 13.3. L’ente appaltante ha poi richiesto ai partecipanti l’iscrizione al marketplace dei conservatori di Agid (l’indicazione al cloud marketplace, contenuta nel modello 10 riproduttivo dell’art. 7.1, lett.b, del disciplinare, è stato un refuso corretto da Estar con i chiarimenti del 26 maggio 2022. La stessa indicazione è stata quindi seguita da tutti i concorrenti che hanno inserito la data di iscrizione al marketplace dei conservatori e non al cloud marketplace). 14. Ciò premesso, deve ritenersi infondato il primo i motivo di censura relativo alla necessità dell’iscrizione nel registro Agid cloud marketplace, a prescindere dall’eccezione di inammissibilità dello stesso motivo dedotta dall’ente appellato e dalle intimate (la ricorrente avrebbe fatto acquiescenza in quanto non avrebbe contestato in sede di gara le disposizioni relative al requisito del marketplace dei servizi di conservazione ed anzi avrebbe depositato il documento relativo alla stessa iscrizione senza produrre in sede di gara il requisito dell’iscrizione al cloud marketplace). 14.1. Come sopra evidenziato, l’oggetto di gara è il servizio di conservazione dati, senza che sia stato previsto nella lex specialis che lo stesso dovesse essere svolto attraverso sistemi cloud. Più nel dettaglio, il capitolato tecnico qualifica il servizio oggetto di gara come “insieme delle attività finalizzate a definire ed attuare le politiche complessive del sistema di conservazione e a governarne la gestione in relazione al modello organizzativo adottato, garantendo nel tempo le caratteristiche di autenticità, integrità, leggibilità, reperibilità dei documenti”. Nella sostanza, lo svolgimento di diverse attività rivolte alla conservazione dei dati. 14.2. D’altra parte, lo stesso bando di gara specifica che l’oggetto del servizio è “concepito in una ottica di outsourcing “chiavi in mano” e dovrà consentire la presa in carico e la gestione sia dello storico che dei nuovi documenti per tutto il periodo contrattualizzato o fino all’eventuale scarto, garantendone la conservazione a norma di immagini, documenti, dei fascicoli informatici e dei relativi metadati associati, e di quant’altro le Aziende riterranno necessario conservare in maniera Digitale” ed ancora che “Il servizio di archiviazione centralizzata dovrà essere realizzato presso Data Center del Fornitore, il quale dovrà fornire altresì il servizio di connettività tra il Data Center e le sorgenti documentali delle aziende sanitarie, la gestione e manutenzione degli apparati e del software dedicato al servizio” (cfr. 1.1 Obiettivi). 14.3. L’art. 3.1 del disciplinare chiarisce poi che “obiettivo della procedura è l’acquisizione di un servizio della conservazione e i relativi servizi di gestione e manutenzione, conforme alla normativa (“Servizio”), operativo su scala regionale, da destinare alle Aziende Sanitarie e Ospedaliere della Toscana e ad ESTAR per la conservazione dei documenti informatici prodotti da ciascuna Azienda”. In sintesi, dunque, oggetto di gara è un servizio di conservazione a norma senza che sia prevista l’obbligatorietà di una infrastruttura cloud. 14.4. Quanto alle norme di rango più elevato, l’art. 34, comma 1 bis, del CAD (introdotto dal d.l. n. 76 del 2020) ha disposto che le Amministrazioni possono procedere alla conservazione dei documenti informatici all’interno o affidando la stessa a soggetti esterni in possesso dei requisiti di qualità, sicurezza e organizzazione individuati da apposite linee guida dell’Agid (linee guida pubblicate nella G.U. n. 259 del 29 ottobre 2020). Il successivo regolamento di Agid del 2021(determinazione n. 628/2021 del 15 dicembre 2021) ha indicato i requisiti generali, prevedendo, tra l’altro, cosa si dovesse intendere per cloud (cioè un insieme di infrastrutture remote utilizzate come risorsa virtuale per la memorizzazione e l’elaborazione). 14.5. Solo in relazione a tale ultima ipotesi (modalità cloud) si è posto nel capitolato (art.5) l’obbligo di iscrizione al “catalogo dei servizi cloud per la P.A. qualificati” previsto dalla circolare Agid n. 3 del 9 aprile 2018. Le Amministrazioni pubbliche sono infatti tenute a prevedere nei contratti aventi ad oggetto servizi cloud gli indicatori dei livelli di servizio (SLI) obbligatori pubblicati nel catalogo dei servizi cloud per la PA qualificati (secondo quanto previsto da ACN – Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale). 15. Nel contesto sopra delineato deve pertanto ritenersi legittimo il provvedimento di aggiudicazione di una gara pubblica, indetta per l’affidamento del servizio di conservazione dei documenti informatici, in favore di un soggetto risultato in possesso del requisito di idoneità professionale della iscrizione al registro generale denominato marketplace dei conservatori, a nulla rilevando che lo stesso non sia iscritto anche allo specifico registro denominato cloud marketplace. 15.1. L’iscrizione al registro generale denominato marketplace dei conservatori costituisce requisito di idoneità professionale ineludibile, mentre l’iscrizione allo specifico registro denominato cloud marketplace è requisito eventuale, che si rende necessario solo se l’operatore economico intenda offrire un servizio di conservazione in modalità cloud, dotato di tutte le caratteristiche descritte nella circolare Agid n. 3 del 2018.16. Nel caso di specie, il servizio offerto dal RTI aggiudicatario si fonda su una struttura interna riservata ad Estar e alle aziende sanitarie toscane mediante l’uso di un hardware dedicato (cfr. offerta tecnicaaggiudicatario). Dunque, non un servizio in modalità cloud con infrastrutture potenzialmente utilizzabili anche da altri utenti, ma svolto con l’utilizzo di una piattaforma tecnologica fisicamente individuata. 16. Tuttavia, l’appellante, soprattutto nel secondo motivo di appello, sottolinea che le concrete modalità di effettuazione del servizio integrerebbero comunque un servizio erogato esclusivamente in modalità cloud mediante un sistema di conservazione denominato Scryba e un hardware dedicato in modalità Iaas (espressione riconducibile ad una categoria di servizi cloud), nonché una infrastruttura cloud multitenant condivisa tra i diversi utenti cui è destinato il servizio. 16.1. In realtà: il sistema di conservazione è di proprietà di.. e non è configurato come cloud, ma operante su un supporto fisico (cfr. punto 5.2 offerta); la modalità Iaas riguarda la gestione interna dell’hardware (cfr. pag. 78 dell’offerta) e non è a disposizione della stazione appaltante; l’infrastruttura proposta è dedicata e non condivide alcuna componente con altri clienti. 17. Per le ragioni sopra esposte l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata

Impianti fotovoltaici, accolte le nostre tesi: è illegittimo il silenzio della Regione sul rilascio del Provvedimento autorizzatorio unico regionale (Tar Basilicata, 523/2023)

Il Tar ha accolto il nostro ricorso volto a chiedere l'annullamento del silenzio rifiuto per conto di un'impresa che è in attesa di ricevere il rilascio del PAUR per la realizzazione di un impianto fotovoltaico.

Leggasi testualmente: La OMISSIS con istanza ha chiesto alla Regione Basilicata il rilascio del Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale (PAUR) ex art. 27 bis D.Lg.vo n. 152/2006, per la realizzazione nei Comuni di un parco eolico, composto da 8 aerogeneratori, avente la potenza compressiva di 25,8 MW, e delle relative opere di connessione alla rete elettrica nazionale.

La OMISSIS. ha trasmesso la documentazione, richiesta con i verbali delle Conferenze di Servizi del 31.3.2021 e del 23.9.2021. Nella terza riunione del 24.3.2022 la Conferenza di servizi ha precisato che non può “essere espresso il giudizio favorevole di compatibilità ambientale”, stabilendo, però, che tale giudizio negativo “si intenderà definitivo, qualora non pervengono osservazioni nel termine di 10 giorni dalla notifica del presente verbale”, che è stato trasmesso alla  OMISSIS soltanto con pec del 30.6.2022. La OMISSIS  -prima con nota dell’11.7.2022 ha presentato le richieste osservazioni ed ha chiesto la Regione Basilicata di concludere il procedimento in discorso; -e poi con il presente ricorso notificato l’11.4.2023 presso l’indirizzo di posta elettronica RegInde Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e depositato il 12.4.2023, ha impugnato il silenzio inadempimento, formatosi sulla suddetta istanza del 12.8.2019, sollecitata con la nota dell’11.7.2022, deducendo la violazione dell’art. 2 L. n. 241/1990. 

In via preliminare, va affermata la ricevibilità del ricorso in epigrafe, tenuto conto del termine decadenziale ex art. 31, comma 2, cod. proc. amm. di 1 anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento, del termine procedimentale ex art. 27 bis D.Lg.vo n. 152/2006 di 275 giorni, della sospensione feriale dei termini processuali ed anche perché secondo questo Tribunale (cfr. Sentenze n. 453 del 9.6.2022, n. 345 del 22.5.2020 e n. 756 del 3.12.2020) la diffida, finalizzata alla conclusione del procedimento, può essere equiparata ad una nuova istanza. Nel merito, il ricorso è fondato, in quanto la Regione, ai sensi dell’art. 2 L. n. 241/1990, deve concludere il procedimento di cui è causa. Pertanto, si concede alla Regione Basilicata il termine perentorio di 90 giorni dalla comunicazione della presente decisione, che avverrà a cura della parte ricorrente. Per l’ipotesi di perdurante inadempimento, si nomina come Commissario ad acta, affinché provveda, il Dirigente preposto alla Direzione Generale per la Crescita Sostenibile e la Qualità dello Sviluppo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (con facoltà di delega), con onere a carico della Regione inadempiente che sarà liquidato ai sensi dell’art. 2 D.M. 30.5.2002 con separato Decreto Collegiale. In base all’art. 2, comma 8, della legge n. 241/1990, la presente decisione va trasmessa alla Corte dei Conti. La presente decisione va, altresì, trasmessa alla Giunta regionale della Basilicata, per le valutazioni e il seguito di competenza, ai sensi dell’art. 2, comma 9, della medesima L. n. 241/1990, secondo cui “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.

Appalti, nomina Collegio Tecnico Consultivo, accoglimento: Il Tribunale ha accertato l'obbligatorietà della costituzione del collegio per le concessioni miste lavori/servizi ed ha imposto alle parti di nominare il Presidente (Trib. Tivoli, decr. Pres. 17/

Il Tribunale di Tivoli ha accolto il nostro ricorso, a tutela del concessionario di servizi e lavori, volto alla costituzione del Collegio Tecnico Consultivo, vista l'inadempienza del Comune all'obbligo di costituzione stabilito dall’art. 6 del D.l. 76/2020, convertito in legge 11.9.2020 n. 120 e sulla base del procedimento indicato dall’art. 2.3 delle Linee Guida Attuative approvate con D.M. 703/2022.

Leggasi testualmente nel decreto Presidenziale: "L’art. 6 del D.l. 76/2020, convertito in legge 11.9.2020 n. 120, prevede al comma 1 che “Fino al 30 giugno 2023 per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di cui all'articolo 35 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50, è obbligatoria, presso ogni stazione appaltante, la costituzione di un collegio consultivo tecnico, prima dell'avvio dell'esecuzione, o comunque non oltre dieci giorni da tale data, con i compiti previsti dall'articolo 5 nonché di rapida risoluzione delle controversie o delle dispute tecniche di ogni natura suscettibili di insorgere nel corso dell'esecuzione del contratto stesso. Per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata alla data di entrata in vigore del presente decreto, il collegio consultivo tecnico è nominato entro il termine di trenta giorni decorrenti dalla medesima data”. Con decorrenza dall’1 luglio 2023, il d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36 - Codice dei contratti pubblici- in attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici- all’art. 215 ha recepito la regolamentazione dell’istituto nei termini che seguono: “Collegio consultivo tecnico. 1. Per prevenire le controversie o consentire la rapida risoluzione delle stesse o delle dispute tecniche di ogni natura che possano insorgere nell'esecuzione dei contratti, ciascuna parte può chiedere la costituzione di un collegio consultivo tecnico, formato secondo le modalita' di cui all'allegato V.2. Per i lavori diretti alla realizzazione delle opere pubbliche di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea e di forniture e servizi di importo pari o superiore a 1 milione di euro, la costituzione del collegio e' obbligatoria. In sede di prima applicazione del codice, l'allegato V.2 e' abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici, che lo sostituisce integralmente anche in qualita' di allegato al codice.

La procedura da seguire in caso di inottemperanza all’obbligo di costituzione del Collegio consultivo tecnico era stabilita, al momento della proposizione del ricorso in esame, dall’art. 2.3 delle Linee Guida Attuative approvate con D.M. 703/2022, che prevedevano che “2.3.1. L'inottemperanza dell'obbligo di costituzione del CCT, ovvero il ritardo nella costituzione dello stesso, nel caso di affidamenti superiori alla soglia comunitaria, comporta la violazione dell'obbligo di cui all'art. 6, comma 1, del decreto-legge n. 76/2020 ed e' valutabile sia ai fini della responsabilita' dirigenziale ed erariale, sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l'operatore economico, sotto il profilo della c.d. buona fede contrattuale.

2.3.2. Ove la costituzione del CCT non sia intervenuta nei termini previsti dall'art. 6, comma 1 del decreto-legge n. 76/2020, il responsabile dell'unita' organizzativa di cui all'art. 2, comma 9-bis, della legge n. 241/1990 esercita il potere sostitutivo ad esso conferito dalla legge e dai regolamenti dell'organo di governo della stazione appaltante, nei termini ridotti di cui all'art. 2, comma 9-ter, della legge n. 241/1990.

2.3.3. In caso di mancata designazione la parte non inadempiente puo' rivolgersi al Presidente del tribunale ordinario dove ha sede la stazione appaltante, individuata quale sede del CCT”. A seguito della recente entrata in vigore del Codice degli appalti è l’allegato V.2, che disciplina le “Modalita' di costituzione del Collegio consultivo tecnico” a regolamentare la procedura. In particolare l’articolo 1, intitolato “Formazione del Collegio e compensi”, prevede al comma 2 che “I componenti del Collegio possono essere scelti dalle parti di comune accordo, ovvero le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti, individuati anche tra il proprio personale dipendente ovvero tra persone a esse legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa in possesso dei requisiti previsti dal comma 1, e che il terzo o il quinto componente, con funzioni di presidente, sia scelto dai componenti di nomina di parte.

Nel caso in cui le parti non trovino un accordo sulla nomina del presidente entro il termine indicato al comma 1dell'articolo 2, questo e' designato entro i successivi cinque giorni dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per le opere di interesse nazionale, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e di Bolzano o dalle citta' metropolitane per le opere di rispettivo interesse”.

Quanto poi alla “Costituzione e insediamento del Collegio” è l’art.2 a prevedere che “1. Il Collegio consultivo tecnico deve essere costituito a iniziativa della stazione appaltante prima dell'avvio dell'esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data. L'inottemperanza ovvero il ritardo nella costituzione del CCT, nel caso di affidamenti superiori alla soglia di rilevanza europea, e' valutabile sia ai fini della responsabilita' dirigenziale ed erariale, sia, nei rapporti tra la stazione appaltante e l'operatore economico, sotto il profilo della buona fede contrattuale. In caso di mancata designazione dei membri la parte non inadempiente puo' rivolgersi al presidente del tribunale ordinario ove ha sede la stazione appaltante, individuata quale sede del CCT”. ****

Così evidenziata la normativa vigente, ricorrono nel caso in esame i presupposti per l’obbligatoria costituzione del Collegio consultivo tecnico. In primo luogo si osserva che, a seguito di procedura di gara ristretta indetta dal Comune (bando pubblicato sul GUCE in data 21.2.2013), avente ad oggetto sia la realizzazione dell’ampliamento del cimitero esistente che la gestione completa del cimitero esistente e di quello nuovo da erigere, il Consorzio è concessionario dei servizi cimiteriali dell’ente comunale per la durata di venticinque anni, in forza di contratto stipulato in data 9.10.2014; tale contratto prevede, oltre alla gestione del cimitero esistente e di quello nuovo da erigere, la realizzazione di lavori di ampliamento dell’importo di euro 19.990.000,00 (come risulta dal quadro economico allegato alla documentazione di gara), eccedente la soglia comunitaria di cui all’art. 35 d. lgs. 50/16 (pari ad euro 5.350.000,00), applicabile in virtù del disposto dell’art. 226 comma 2 del D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36. Accertato il ricorrere dei presupposti per l’obbligatorietà della costituzione del Collegio consultivo tecnico, non risulta contestato da parte del Comune resistente il diniego alla procedura di nomina del proprio componente e del presidente del collegio.

 P.Q.M.

 accerta e dichiara l’obbligatorietà della costituzione del Collegio consultivo tecnico;

Sanità, strutture accreditate, accoglimento: le schede RAD (accettazione e dimissioni) hanno valenza unilaterale e non probante (Cass. ord. 19509/2023)

La Suprema Corte di Cassazione ha accolto le nostre tesi a difese di un'Azienda sanitaria, dichiarando inammissibile il ricorso di una società factoring per conto di una struttura sanitaria accreditata.

Leggasi testualmente nell'ordinanza della Suprema Corte: "2.1.- Con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione della regola sull’assolvimento e sulla distribuzione dell’onere probatorio; violazione degli artt.115, 116 cod.proc.civ., nonché dell’art.2697 cod.civ. 2.2.- La censura riguarda la statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto che il gravame proposto da ...Factor in ordine alla pretesa genericità dell’exceptio inademplimenti avversaria non avesse chiarito né tale profilo di genericità, né sotto quale profilo non le avesse consentito di percepire la riferibilità dell’eccezione al mancato adempimento delle controprestazioni a suo carico. A parere della ricorrente la decisione sarebbe frutto di una mancata analisi e valutazione delle difese delle controparti sin dal primo grado di giudizio, in contrasto con le disposizioni codicistiche invocate, come cerca di illustrare riportando le difese avverse svolte in primo grado. Sotto questo profilo la censura è inammissibile perché non si appunta sulla statuizione indicata, né la contrasta mediante adeguata illustrazione del motivo di gravame svolto e della sua specificità, in violazione del principio secondo il quale «L'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un "error in procedendo", presuppone comunque l'ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall'onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche puntualmente i fatti processuali alla base dell'errore denunciato, dovendo tale specificazione essere contenuta, a pena d'inammissibilità, nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l'onere di precisare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto al giudice d'appello, riportandone il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità, non potendo limitarsi a rinviare all'atto di appello.» (Cass. n. 24048/2021; Cass. n. 3612/2022). Va aggiunto, inoltre, che inammissibilmente la ricorrente sollecita questa Corte a valutare direttamente la difese svolte dalle convenute in primo grado e la posizione processuale dalle stesse assunta, dalle quali – a suo dire – si sarebbe dovuto dedurre che l’Azienda Ospedaliera in quanto incaricata dei pagamenti non era soggetto tenuto alla verifica della correttezza delle prestazioni e della contabilizzazione dell’assistenza, e ciò senza nemmeno allegare che tali questioni erano già state tempestivamente prospettate in fase di merito mediante specifico gravame sottoposto alla Corte di appello. 2.3.- Sotto altro profilo la censura critica la esclusione della valenza probatoria delle schede RAD, prodotte unitamente alle fatture, deducendo che non erano state sollevate eccezioni dalle controparti in merito e che le parti non avevano eccepito l’inadempimento delle prestazioni. Per questo aspetto il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi. Infatti, la Corte di appello – ravvisando anche sul punto la genericità del motivo di gravame - ha affermato che la deducente UBI non aveva «replicato alcunchè a fronte del rilievo, viceversa formulato nella sentenza gravata, circa la connotazione unilaterale di siffatta documentazione…» (fol. 5 della sent.imp.) costituita dalle due fatture e dai due prospetti redatti con programma Excel, di guisa che l’invocazione del principio di non contestazione risulta del tutto estraneo alla statuizione sul punto.

 

Fondi PNRR per ricercatori universitari, accolte le ns. tesi: va respinta la domanda cautelare di un concorrente non vincitore con applicazione del rito speciale ex art.12-bis D.L. 68/2022 (Tar Lazio, ord. 3316/2023)

Il Tar, in sede cautelare, ha respinto il ricorso di un concorrente non vincitore ad una selezione per la nomina a ricercatore universitario presso la Sapienza di Roma, in accoglimento delle nostre tesi a difesa del vincitore del concorso.

Leggasi testualmente nell'ordinanza:

"Rilevato che il ricorso, secondo quanto emerge dagli atti, concerne una procedura amministrativa avente a oggetto interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR (“Missione 4 Istruzione e Ricerca – Componente 2 Dalla Ricerca all’Impresa – Investimento 1.3 finanziato dall’Unione Europea – NextGenerationEU”); Ritenuto, quindi, che al giudizio si applichi il rito ex art. 12-bis del D.L. 68/2022, riguardante accelerazione dei giudizi amministrativi in materia di PNRR, compreso l’art. 119, comma 2, del codice del processo amministrativo, richiamato “in ogni caso” dal citato art. 12-bis, comma 5, e il relativo dimezzamento dei termini di deposito del ricorso; Rilevato da quanto emerge dal fascicolo che il ricorso, a fronte dell’ultima notificazione perfezionatasi per il destinatario, Vincenzo Moschetti, a mezzo posta, in data 18 maggio 2023, risulta depositato il 6 giugno 2023, oltre il termine dimezzato di quindici giorni per il deposito; Ritenuto, quindi, di sottoporre alle parti la questione della possibile irricevibilità del ricorso; Ritenuto, inoltre, che la domanda cautelare difetta di periculum in mora, a fronte dell’intervenuta stipulazione del contratto oltreché di allegazioni sull’irreparabilità del danno, in termini soggettivi e anche nel bilanciamento con l’interesse dell’Amministrazione; Ritenuto, nelle more dell’udienza pubblica, fissata in dispositivo per l’esame delle questioni di rito e di merito, di disporre istruttoria a carico dell’Amministrazione, con il deposito di documentati chiarimenti, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, relativi ad alcuni adempimenti previsti dall’art. 5 del bando, segnatamente: (i) alla valutazione preliminare, individuale e comparativa, svolta in ordine alla produzione scientifica dei candidati; (ii) alla valutazione collegiale svolta in ordine al seminario; (iii) al giudizio collegiale comparativo complessivo svolto;

P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter): a) rigetta la domanda cautelare; b) fissa per la trattazione di merito del ricorso l’udienza pubblica del 7 novembre 2023";

Appalti, accoglimento: la conservazione dei documenti digitali in modalità cloud è requisito di partecipazione solo se è offerto in tale modalità (Tar Firenze, sent. 437/2023)

Il Tar Firenze, in accoglimento delle nostre difese a tutela del raggruppamento aggiudicatario in una gara di appalto centralizzata per la conservazione digitale della documentazione di tutte le asl Fiorentine ha così deciso: "Per quanto attiene alla prima censura del ricorso principale, va innanzi tutto delineato, in modo sintetico, il quadro normativo con cui sono disciplinati i servizi di conservazione dei documenti informatici da parte delle pubbliche amministrazioni. L’art. 34, comma 1 bis del d.lgs. n. 82/2005, Codice dell’Amministrazione Digitale (c.d. CAD), introdotto dal d.l. n. 76/2020, convertito con l. n. 120/2020, ha previsto che le pubbliche amministrazioni possono procedere alla conservazione dei documenti informatici all’interno della propria struttura organizzativa, oppure affidandola, in modo totale o parziale, nel rispetto della disciplina vigente, ad altri soggetti, pubblici o privati che possiedono i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione individuati, nel rispetto della disciplina europea, in apposite Linee guida relative alla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici e in un regolamento sui criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici emanato da Agid. Le “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” sono state pubblicate da Agid nella Gazzetta Ufficiale n. 259 del 29 ottobre 2020. Il “Regolamento sui criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici” e i relativi allegati sono stati approvati da Agid nel 2021 e dettano i requisiti generali, di qualità, di sicurezza e di organizzazione che devono possedere i soggetti, pubblici e privati, per poter svolgere il servizio a favore delle pubbliche amministrazioni. Segnatamente, l’art. 1, comma 1 di tale Regolamento prevede che la conservazione dei documenti informatici deve avvenire in modo che il sistema di conservazione ne assicuri autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità e reperibilità. L’art. 2, a sua volta, stabilisce che i soggetti che intendono erogare il servizio di conservazione dei documenti informatici a favore delle pubbliche amministrazioni devono possedere i requisiti generali e i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione specificati all’interno dell’Allegato A, che costituiscono condizione per l’iscrizione al registro denominato “marketplace dei servizi di conservazione” o “marketplace dei conservatori”, previsto dal successivo art. 3. L’art. 7, infine, dispone che “Le amministrazioni che affidano il servizio di conservazione dei documenti informatici a soggetti non iscritti al marketplace dei servizi di conservazione hanno l’obbligo di trasmettere ad AgID i relativi contratti entro trenta giorni dalla stipula affinché l’Agenzia possa svolgere le attività di verifica dei requisiti generali nonché dei requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione di cui all’allegato A al presente regolamento”. L’Allegato A del Regolamento elenca quindi i requisiti che devono essere posseduti dagli operatori e precisa che “chi intende fornire i servizi di

conservazione in modalità cloud per conto delle pubbliche amministrazioni deve possedere, oltre ai requisiti prescritti nel presente allegato, anche la qualificazione prevista dall’art. 4 della Circolare AgID n. 3 del 9 aprile 2018”. Secondo quanto precisato in questa ultima circolare, il cloud è da intendersi - in estrema sintesi - come un “insieme di infrastrutture tecnologiche remote utilizzate come risorsa virtuale per la memorizzazione e/o l’elaborazione nell’ambito di un servizio”; e i servizi di tipo “software as a Service” (c.d. Saas) costituiscono una classe di servizi in cui il gestore si occupa della predisposizione, configurazione, messa in esercizio e manutenzione degli stessi, grazie ad un’infrastruttura cloud propria o di terzi, lasciando al fruitore del servizio il solo ruolo di utilizzatore delle funzionalità offerte. La medesima circolare richiama poi le definizioni e i concetti definiti dal National Institute of Standards and Technologies - agenzia governativa statunitense - e indica le cinque caratteristiche essenziali del Cloud computing (on-demand selfservice, broad network access, resource pooling, rapid elasticity, measured service). 2.2. Ebbene, svolte le suddette precisazioni, va evidenziato che la ricorrente principale ha impostato la sua prima doglianza su un presupposto fondamentale errato, ossia che la legge di gara avesse ad oggetto una specifica tipologia di servizio di conservazione dei documenti informatici prodotti da Estar e dalle Aziende sanitarie da espletare necessariamente in modalità cloud, ossia avvalendosi di un’infrastruttura tecnologica remota e virtuale, comune a più utenti. In realtà, la legge di gara non prevedeva che i servizi oggetto di appalto dovessero essere svolti in questa unica modalità, ma si limitava ad imporne la piena conformità alla normativa vigente e a descriverne le caratteristiche essenziali, ammettendo quindi il ricorso a server dedicati in modo esclusivo ad Estar e alle Aziende sanitarie toscane o, in alternativa, a server remoti e virtuali condivisi con altri utenti. In particolare, l’art. 3 del disciplinare contiene l’elenco dettagliato delle prestazioni richieste, senza tuttavia fare alcun riferimento esplicito alla modalità cloud (cfr. doc. 4 della ricorrente principale); altrettanto può dirsi per l’art. 17, che indica il contenuto dell’offerta tecnica, e per il successivo art. 19, nel quale sono indicati i criteri di valutazione. A sua volta, l’art. 3 del capitolato speciale d’appalto descrive in modo puntuale l’oggetto della gara, senza imporre in modo tassativo ed univoco l’utilizzo della modalità cloud (cfr. doc. 7 della ricorrente principale). Nemmeno l’art. 4 del capitolato, nel quale sono indicati i requisiti funzionali del servizio, rende di per sé obbligatorio il ricorso al cloud, posto che anche questa disposizione contiene una descrizione del servizio molto ampia, che ammette modalità differenti di erogazione rimesse alle scelte tecniche e imprenditoriali dei singoli operatori economici, senza indicare il tipo di infrastruttura tecnologica di cui i concorrenti devono avvalersi; e dunque, a prescindere dal valore probatorio che può essere attribuito alla relazione tecnica depositata da Ti Trust, non vi è prova di quanto in essa affermato, ossia che le funzionalità richieste da Estar descriverebbero di fatto un servizio di tipo “software as a service”, erogabile soltanto tramite un’infrastruttura virtuale e remota comune a più utenti (cfr. doc. 21 della ricorrente principale). Pertanto, del tutto coerentemente, l’art. 2 del capitolato precisa che “I soggetti che intendono erogare il servizio di conservazione dei documenti informatici per conto delle pubbliche amministrazioni devono possedere i requisiti generali nonché i requisiti di qualità, di sicurezza e organizzazione specificati all’interno dell’allegato A denominato “Requisiti per l’erogazione del servizio di conservazione per conto delle pubbliche amministrazioni” del Regolamento, che qui si richiamano integralmente in quanto necessari per l’iscrizione al marketplace istituito per i servizi di conservazione. Qualora, al momento dell’aggiudicazione, il fornitore non risultasse iscritto nella sezione “servizi di conservazione” del Cloud Marketplace, l’amministrazione prima di procedere alla stipula, trametterà gli atti ad AgID affinché siano svolte da parte dell’Agenzia le attività di verifica del possesso dei requisiti di cui all’allegato A del Regolamento”. Così come, in modo altrettanto coerente, l’art. 5 afferma che “Qualora i servizi di conservazione siano erogati in modalità cloud, il servizio deve essere qualificato come previsto dalla Circolare Agid n. 3 del 9 aprile 2018 e, conseguentemente, essere presente nel “Catalogo dei servizi Cloud per la PA qualificati” pubblicato sul sito di Agid”. In sintesi, mentre l’iscrizione al registro generale denominato “marketplace dei conservatori”, previsto dal Regolamento Agid del 2021 costituisce requisito di idoneità professionale ineludibile, l’iscrizione allo specifico registro denominato “cloud marketplace” è requisito eventuale, che si rende necessario solo se l’operatore economico intende offrire un servizio di conservazione in modalità cloud, dotato di tutte le caratteristiche descritte nella circolare Agid n. 3/2018 cit.. Quanto appena evidenziato esclude l’illegittimità degli atti di gara nei termini dedotti dalla ricorrente principale. 2.3. In secondo luogo, dagli atti emerge che il servizio offerto dal R.T.I. aggiudicatario si avvale di una struttura interna riservata ad Estar e alle Aziende sanitarie toscane e utilizza un hardware dedicato (cfr. in particolare il par. 5.1.1 dell’Offerta Tecnica ..., doc. 12 di Estar). Non si tratta quindi di un servizio svolto in modalità cloud, per mezzo di infrastrutture remote e virtuali, utilizzabili da una molteplicità di utenti; bensì di un servizio offerto grazie ad un’infrastruttura tecnologica fisicamente individuata, con caratteristiche specifiche puntualmente descritte nell’offerta tecnica del R.T.I. aggiudicatario e utilizzata solo per Estar e le Aziende sanitarie toscane. Pertanto, anche sotto questo profilo, la censura della ricorrente principale appare priva di pregio, posto che il possesso della sola iscrizione al “marketplace dei conservatori” da parte di Medas e Aruba Pec costituisce requisito di partecipazione conforme a quanto prescritto dalla legge di gara e dalla normativa di settore per lo svolgimento del servizio oggetto di affidamento.

2.4. In ultimo, occorre evidenziare che l’iscrizione al “Cloud marketplace”, in base alla normativa di settore vigente, non può essere considerata un requisito di partecipazione alle gare indette dalle pubbliche amministrazioni per l’erogazione dei servizi di conservazione dei documenti informatici, ma costituisce piuttosto un requisito di esecuzione. Infatti, l’art. 7 del Regolamento cit., secondo il quale il servizio di conservazione può essere affidato anche a soggetti non iscritti al marketplace dei servizi di conservazione, fermo l’obbligo di trasmettere ad Agid i relativi contratti entro trenta giorni dalla stipula affinché l’Agenzia possa svolgere le attività di verifica dei requisiti previsti dalla normativa di settore, non può non trovare applicazione anche in riferimento all’iscrizione nel più specifico registro denominato “cloud marketplace”, citato nell’Allegato A del Regolamento stesso. Lo stesso invero, alla pari del “marketplace dei conservatori”, è destinato ad attestare il possesso di determinati requisiti organizzativi, tecnici e infrastrutturali da parte degli operatori economici che intendano fornire servizi di conservazione dei documenti informatici a favore della pubblica amministrazione; sarebbe dunque illogico e contraddittorio ammettere l’iscrizione postuma al “marketplace dei conservatori” ed escludere quella al “cloud marketplace”. Inoltre, la circolare n. 3 del 9 aprile 2018, che stabilisce i requisiti e i criteri per l’iscrizione al “cloud marketplace”, non prevede che la qualificazione in parola debba essere posseduta già in fase di gara. Entrambi i registri, pertanto, soggiacciono alla disciplina generale dettata dal Regolamento del 2021 che, come detto, consente agli operatori economici di partecipare a questa tipologia di gara anche se privi dell’iscrizione e di acquisirla a seguito dell’aggiudicazione. A ciò si aggiunga che, nel caso in esame, la legge di gara, all’art. 7.1. del disciplinare, conteneva un espresso rinvio all’art. 7 del Regolamento, confermando perciò in modo espresso la natura di requisito di esecuzione ascrivibile all’iscrizione al “cloud marketplace”.

In conclusione, la mancanza di tale iscrizione, anche se necessaria per il tipo di servizio offerto, non avrebbe potuto comunque costituire motivo di esclusione del R.T.I. aggiudicatario, sia per il tenore della normativa generale citata, sia per le specifiche previsioni della legge di gara, ben potendo il R.T.I. aggiudicatario integrare tale requisito in vista della stipula del contratto.

 

 

Maxi appalto Regione Lazio, accolte le nostre tesi: annullata l'aggiudicazione della gara per i servizi di rilevazione dei beni mobiliari e immobiliari di proprietà della Regione (Tar Lazio, sent. 5663/2023)

Il Tar Lazio ha accolto le nostre tesi a difesa di un Rti secondo classificato in graduatoria nella gara relativa al servizio di rilevazione dei beni mobili ed immobili di proprietà della Regione ed ha annullato l'aggiudicazione per carenza di un requisito tecnico minimo.

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