Il Consiglio di Stato, in accoglimento delle nostre tesi a difesa di un Comune, ha respinto l'appello di una società che ha realizzato un centro commerciale ed ha chiuso con una sbarra meccanica l'accesso al parcheggio pubblico realizzato sull'area ceduta dal privato per garantire gli standard.

Leggasi testualmente nella sentenza del Consiglio di Stato:

"Va respinto il primo motivo, che contesta il capo della sentenza contenente la decisione di rigetto del ricorso principale.
25.1 Per chiarezza, va richiamato quanto sopra esposto. L’art. 13 delle NTA del piano urbanistico comunale prevede che, ove come avvenuto nel caso di specie si realizzi un nuovo edificio commerciale, sia dovuta una certa dotazione di spazi, ovvero “a 100 mq. di superficie lorda di pavimento … deve corrispondere la quantità minima di 80 mq. di spazio, di cui almeno la metà destinata a parcheggi (in aggiunta a quelli di cui all’articolo 41 sexies della legge urbanistica) (art. 5 D.M. n. 1444/68)”, con la precisazione che “gli spazi liberi dalle costruzioni sono lasciati aperti (non recintati) al pubblico transito. Pertanto il progetto deve prevederne anche la sistemazione a parcheggio, a viabilità pedonale e a verde”.
25.2 La norma appena illustrata, come è evidente, prevede una dotazione di standard, volti a rendere fruibile la nuova costruzione senza peggiorare la qualità di vita nell’ambiente circostante. In concreto, chi è interessato ad ottenere il titolo per realizzare un edificio del tipo indicato, e secondo logica a realizzare il profitto normalmente connesso a queste operazioni, deve dare al Comune in cambio questa dotazione di spazi, costituendo il vincolo relativo. La natura di questo vincolo, conformativo oppure espropriativo, è poi sostanzialmente irrilevante ai fini del decidere, perché in sintesi non si tratta di un vincolo imposto unilateralmente da una norma o da un qualche atto autoritativo a prescindere dalla volontà del privato, ma di un vincolo che il privato stesso costituisce di sua volontà, per avere, come si è detto, qualcosa in cambio dall’amministrazione.
25.3 La norma dell’art. 13 NTA in questione non consta sia stata impugnata in alcun modo, ma, come si aggiunge per completezza, nemmeno si potrebbe qualificare come illegittima, dato che è una normale esplicazione, fra l’altro in termini piuttosto frequenti in pratica, del potere pianificatorio dell’ente locale, esercitato in modo non certo illogico né abnorme, se si pensa che uno spazio di 40 mq come quello previsto per comune esperienza è quello necessario al posteggio di due normali automobili.
25.4 Ciò premesso, come risulta dalla sentenza di I grado e non contestato, la società ricorrente appellante nei tre atti di obbligo sopra descritti, e da ultimo nell’atto impugnato 28 luglio 2005 ha vincolato le aree di cui si è detto in conformità a questo art. 13 senza nulla eccepire in proposito.
25.5 In questi termini, è in primo luogo del tutto corretta l’argomentazione del Giudice di I grado per cui l’atto d’obbligo 25 luglio 2008 non si può definire nullo, perché contiene una clausola del tutto conforme a diritto, ed anzi, come si è detto, usuale nella prassi, e quindi la domanda di nullità va respinta.
25.6 È poi corretta anche l’ulteriore decisione del Giudice di I grado, nel senso che la domanda di annullamento sia inammissibile, perché sottoscrivendo i tre atti d’obbligo di cui si è detto la società non ha avanzato riserva alcuna sulla clausola contestata, e quindi non può ora contestare l’atto amministrativo in forza del quale essa è stata redatta.
25.7 Sono quindi manifestamente infondate le argomentazioni della ricorrente appellante, la quale sostiene di avere invece fatto valere un presunto vizio del permesso di costruire, che conterrebbe a suo dire un elemento accidentale non consentito. Come si comprende in base alla ricostruzione appena svolta, infatti, il presunto vizio non è nel permesso in quanto tale, ma nell’atto di obbligo al quale esso accede, e discende non dal permesso, ma dal più volte citato art. 13 previamente adottato dal Comune.
25.8 Il motivo è poi pacificamente inammissibile – per tutte, C.d.S. sez. IV 21 giugno 2021 n.4775 e sez. V 4 giugno 2020 n.3515– nella parte in cui richiama senza precisarne il contenuto “i profili di eccesso di potere illustrati alle pagine 16 e seguenti del ricorso”.
26. Va in parte respinto, in parte dichiarato inammissibile il secondo motivo di appello, che ripropone quanto dedotto con i primi motivi aggiunti di I grado.
26.1 Anche qui, si riprende per chiarezza quanto sopra esposto. Con la d.i.a. 27 aprile 2007, la società ha installato in corrispondenza degli accessi allo scoperto del proprio edificio tre barriere automatiche, che con tutta evidenza non consentivano di accedervi a chi non avesse la chiave. Quest’iniziativa va qualificata come illegittima, per l’assorbente rilievo secondo il quale, in base al più volte citato atto d’obbligo e al contenuto del vincolo così come descritto dall’art 13 NTA, l’accesso in questione doveva rimanere libero. A fronte di ciò, il Comune ha reagito con i provvedimenti 26 giugno 2008 n.425 e 23 luglio 2008 n.43 di cui si è detto.
26.2 Ciò posto, vanno dichiarate anzitutto inammissibili perché generiche e prive dei necessari requisiti di sinteticità e chiarezza – sul punto, da ultimo C.d.S. sez. IV 9 gennaio 2023 n.280, ove ampie ulteriori citazioni- le censure di cui ai §§ 13.2.2, 13.2.4, 13.2.5, 13.2.6 e 13.2.7 del motivo. La prima di esse, § 13.2.2. non spiega in concreto quale fosse il contenuto delle controdeduzioni di parte di cui si sarebbe dovuto tener conto; le restanti, come risulta a semplice lettura, non consentono di capire in che consista la critica che alla sentenza impugnata si vorrebbe rivolgere.
26.3 Va parimenti dichiarata inammissibile, perché formulata con mero rinvio agli atti di I grado, la censura di cui omissis"
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