Il Tar del Lazio ha accolto il nostro ricorso a tutela di una società che gestisce un esercizio di ristorazione nel Comune di Roma, affermando il seguente principio: “sussiste differenza tra la cessione della licenza commerciale a terzi, in uno all’azienda cui essa pertiene, ed il subentro nel titolo in ragione di un contratto di affitto”.

“Ed infatti mentre il subentro elide ogni riferimento alla precedente titolare, l’affitto d’azienda consiste in una mera reintestazione della licenza; il subingresso con trasferimento della titolarità, è disciplinato dall’art. 22 del regolamento comunale sul commercio (approvato con delibera C.C. 35/10 - all.16) e dall’art. 8 R.R. 1/09; l’affitto di azienda è disciplinato dal successivo art. 23 del medesimo regolamento comunale e dall’art. 9 R.R. 1/09.

L’art. 23 del regolamento comunale (coerentemente con l’art. 9 del R.R. Lazio nr. 1/09) così recita: “L’affitto d’azienda è comunicato al Municipio territorialmente competente ai fini della reintestazione del titolo autorizzatorio a favore dell’affittuario.”; il subingresso, viceversa, è disciplinato dal precedente art. 22 del regolamento comunale e presuppone il “trasferimento della titolarità dell’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande” ovvero un atto traslativo come la cessione dell’azienda o una successione mortis causa. Prova ne è l’art. 8 della R.R. 1/09 che per le ipotesi di subingresso prevede al primo comma lett. a), proprio la presentazione di copia dell’atto notarile di cessione d’azienda.

Quindi, nel caso in esame, non vi sarebbe alcun “trasferimento di titolarità”: il titolare della licenza rimane sempre la società affittante.

Ne consegue che alla scadenza dell’affitto, il medesimo titolo verrà automaticamente reintestato all’affittante originario.

Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti a seguire.

Condivisibilmente, parte ricorrente deduce che sussiste differenza tra la cessione della licenza commerciale a terzi, in uno all’azienda cui essa pertiene, ed il subentro nel titolo in ragione di un contratto di affitto.

Invero, secondo la giurisprudenza della Sezione, (vedasi sentenza nr. 3/2016, su ricorso nr. 315/2014 alle cui motivazioni è sufficiente al Collegio rinviare per ulteriori approfondimenti; v. altresì sentenza nr. 11002/2016 su ricorso nr. 9655/2016) mentre tra le parti private (cedente e cessionario) la circolazione della licenza commerciale è regolata dall’accordo e dalla legge civile, nei confronti della PA il relativo trasferimento non determina novazione o sanatoria di eventuali vizi del provvedimento, che è trasferito nelle condizioni che risultano dalla regolamentazione amministrativa applicabile e dal titolo stesso. Per queste ragioni, alla voltura di una licenza commerciale per avvenuto trasferimento della stessa in uno alla cessione dell’azienda o del ramo di azienda cui pertiene, non può ricondursi alcuna efficacia “sanante” di eventuali vizi di legittimità del provvedimento che ha costituito il titolo stesso in capo alla cedente. Vero è che, in determinati contesti regolamentari, si è ritenuto che la cessione dell’azienda non implica il trasferimento automatico di un titolo di commercio (nella specie, titolarità di una OSP a servizio di un locale di somministrazione) in quanto la valutazione amministrativa della relativa istanza ha natura di provvedimento costitutivo (v. TAR Lazio, II ter, sentenza nr. 1186/2016); ma anche in questi casi il provvedimento è finalizzato solo ad attualizzare la verifica della perdurante pertinenza del titolo stesso con le più generali condizioni di tutela urbana e di contesto che l’Amministrazione si prefigge, mentre non concorre di per sé a sanare automaticamente eventuali vizi genetici del titolo stesso o decadenze precedentemente intervenute”.

“In linea di principio, quindi, all’Amministrazione non spetta una potestà discrezionale che le consenta di valutare l’opportunità di “acconsentire” ad una reintestazione della licenza commerciale, potendosi solamente verificare se essa risponda o meno ai requisiti di legge e di regolamento inerenti la qualità soggettiva del subentrante e così via”.

Tar Lazio n. 09251/2017