La Corte dei Conti del Lazio ha respinto l'atto di citazione della Procura nei confronti dell'ex Presidente della Giunta Regionale del Lazio difeso dal nostro studio.

Nella sentenza testualmente si legge: "Con decreto del Presidente della Giunta Regionale n.610 del 12 aprile 1976 viene adottata la dichiarazione di pubblica utilità e definita l’indennità di esproprio (calcolata tenendo conto del valore agricolo dei beni) per i beni appartenenti all’Aventino Frutta srl; tale atto, derivava dall’istanza del Comune di Roma presentata in data 24 marzo 1976. In seguito, su istanza del Comune di Roma del 26 aprile 1979, dovuta a decorrenza dei termini e necessità di rinnovare la procedura, è stata nuovamente dichiarata la pubblica utilità con decreto della Giunta Regionale n. 1358 del 16 ottobre 1979 e annullamento del precedente decreto 610. A seguito di questo secondo atto, e nuovamente su istanza del Comune del 14 maggio 1980, la Giunta emette il decreto di esproprio n.1686 in data 31 ottobre 1980 rinnovando la definizione delle indennità di esproprio dei terreni in base al valore agricolo degli stessi. 

La pretesa risarcitoria deriva dalla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 2875 del 2014 che ha sancito l’obbligo di corrispondere alla Società Aventino Frutta srl l’indennità di esproprio dell’area oggetto della controversia e l’indennità di occupazione abusiva per il periodo precedente all’esproprio. 

Si evince dalla sentenza che la procedura ha avuto inizio nel 1972, ossia prima di qualunque intervento della Giunta presieduta dal convenuto, con una occupazione di area destinata a pubblica utilità. Il danno oggetto della controversia è quello derivante dall’obbligo di corrispondere l’indennità per l’occupazione dell’area con irreversibile modifica della stessa (dal 1972 al 1980) e l’indennità di esproprio successiva. Il decreto di esproprio del 1980 costituisce il momento in cui la procedura è rientrata in una forma di regolarità (tanto che in uno dei gradi del giudizio il momento del decreto di esproprio viene considerato quello da cui la causa cambia di natura e diventa opposizione alla valutazione dell’indennità di esproprio). 

Il ritardo nella dichiarazione di esproprio viene per la prima volta indicato nella relazione della Guardia di Finanza del 22 gennaio 2018, allegata alla citazione. In tale relazione, ricostruita la vicenda giudiziaria, si afferma sussistere un colpevole ritardo della Giunta Regionale nell’adozione dei propri atti. 

Tale colpevole ritardo, tuttavia, non emerge dalla valutazione del procedimento a seguito di acquisizione di tutti gli atti dello stesso. 

Invero, dalla cronologia degli atti si evince che tra il decreto 610/1976 e il successivo (1358/1979), sono decorsi i due anni prescritti dalla legge, per cui il Comune ha richiesto alla Regione il “rinnovo della procedura”, ritardi causati però per gli inadempimenti del Comune e non da parte della Regione. 

In nessun punto della sentenza della Corte di appello si fa riferimento alla Regione Lazio, che per altro non era chiamata in giudizio, come uno dei possibili responsabili del quantum del risarcimento riconosciuto al soggetto espropriato. 

Agli atti perciò risulta che tale ritardo non vi è stato o, se vi è stato, è imputabile esclusivamente al Comune. 

D’altra parte, la vicenda processuale civilistica ha riguardato la quantificazione dell’indennità di esproprio, non la durata della procedura, né le asserite inadempienze e i ritardi della stessa. In nessun caso, né nelle sentenze, né nella relazione della Guardia di finanza, né negli atti della procura si fa alcun cenno ad eventuali errori o ritardi della Giunta regionale nella determinazione delle indennità. 

Ne consegue che, in punto di fatto, non vi è alcuna prova che il convenuto , in disparte il fatto che è stato Presidente della Regione solo in una parte del lasso di tempo che ha interessato la procedura espropriativa de qua, abbia causato quel colpevole ritardo che gli viene attribuito dalla procura. 

Non vi è prova né di comportamenti gravemente colposi o negligenti né di alcun “colpevole ritardo” come risulta da tutti gli atti depositati. Né, per altro, la citazione fa alcun cenno a quali sarebbero stati i comportamenti colposi, limitandosi al rinvio alla relazione della Guardia di Finanza in cui si riferisce di una assenza di provvedimenti dovuti o di adozione in colpevole ritardo, che, come indicato, è smentita dai documenti acquisiti. 

Ne consegue che la citazione deve essere respinta per mancanza di prova dell’elemento soggettivo e il convenuto mandato assolto da ogni addebito.